Rivoluzionare i cocktail partendo dalla semplicità e dalla replicabilità delle miscele: per Tommaso Cecca, bartender del Café Trussardi, la vera novità consiste nell'intervenire sul gusto e non solo sull'apparenza dei cocktail. Una filosofia, quella che unisce semplicità e lusso autentico, condivisa con lo stesso Gruppo Trussardi che ha da poco inaugurato una nuova area a metà fra il Trussardi alla Scala e il Café: una sorta di smoke room stile bistrot dove poter degustare i cocktail di Tommaso Cecca e alcuni piatti preparati nella cucina di Luigi Taglienti, un ambiente più rilassato dove lasciarsi andare e ritrovare il piacere legato al cibo e al bere.
La sua carriera, l'esperienza al Café Trussardi e il trend delle miscele alcoliche gourmet: Tommaso Cecca racconta tutto in questa intervista a Fine Dining Lovers.
Come nasce l'amore per questa professione?
Ero ancora molto giovane quando mi sono avvicinato a questo mondo, complice la "sfortuna" di avere un bar sotto casa (in provincia di Bari): tornando da scuola un giorno il barista mi chiese se volevo "imparare il mestiere". Accettai ma capii subito che quel "mestiere" a lui non veniva poi così bene: a 13 anni ho iniziato a gestire da solo il bar, il pomeriggio dopo la scuola.
Dopo un anno e mezzo sono passato a un pub e da lì nei locali notturni, dove mi sono avvicinato ai cocktail e ai distillati. Sono quindi volato a Londra, dove ho trascorso anni molto interessanti e ho incontrato personalità importanti del bartending internazionale come Salvatore Calabrese.
Quando inizia la sua avventura al Café Trussardi?
La proposta del Café Trussardi è arrivata sei anni fa: ero appena tornato in Italia dopo due anni a Londra e ai tempi lavoravo per Roberto Cavalli. Il contesto gastronomico era così importante che ho voluto provare ricostruendo da zero il mio lavoro, facendo incontrare lo stile tipico dei locali notturni con l'alta cucina. All'inizio è stato all'inizio complesso, poi ho capito che per lavorare al meglio avrei dovuto proporre alla clientela qualcosa che non fosse banale ma nemmeno fosse troppo estremo. Bisogna lavorare sulla qualità dei prodotti e riuscire a far stare bene le persone: solo in quel momento riescono a sentirsi a loro agio, anche in un contesto di lusso come questo.
Com'è cambiata la sua professione rispetto a qualche anno fa?
Qualche anno fa la mia era una figura di cui non si sentiva parlare moltissimo: adesso, invece, il cliente ricerca un bartender esperto, che faccia da intermediario con i prodotti. Vent'anni fa molti tendevano a improvvisarsi esperti: tutti facevano tutto e c'erano tanti bartender che conoscevano poco l'universo legato ai distillati. Adesso il numero si è ridotto notevolmente, e sono sopravvissuti solo quelli che hanno una conoscenza della materia prima e della tecnica.
Quali sono i trend nel beverage oggi?
Quella di tornare indietro nel tempo; si sono riscoperti gli anni che vanno dalla fine dell' 800 e inizio '900, e spesso vengono proposti cocktail vintage, che si rifiutano di utilizzare distillati che all'epoca non esistevano. Adesso, per esempio, esistono i bartender anni '30, che non preparano i cocktail con la tequila perché all'epoca non c'era. È un trend importante, che si può anche reinterpretate e non per forza seguire alla lettera: io faccio per esempio il T-Punch, la cui ricetta prevederebbe un bicchiere di rum, poco ghiaccio e mezzo lime spremuto; l'ho reinterpretato infiammandolo, con una zolletta di zucchero all'anice, spezie che vengono caramellate e che vengono servite al cliente mentre ancora girano e si emulsionano con il rum.
Come nasce un suo cocktail?
Da un'idea o dal passato, giusto per restare in tema. Negli anni '80 i cocktail più apprezzati erano i mangia-e-bevi, come i Bloody Mary a base di ingredienti alimentari, e su questo anni fa abbiamo lavorato sul Liquid Salad.
È il Liquid Salad il cocktail che la rappresenta?
No, al momento è un Americano con la birra, in menu da qualche mese. Si tratta di un americano a base di Campari e Vermouth rosso che, invece dell'acqua gassata della ricetta tradizionale contiene un ingrediente comune, che rende il cocktail replicabile anche a casa: la birra appunto. Il vero progresso è poter creare in ogni momento e situazione: se si crea una cosa che si può replicare solo con utensili particolari e con ingredienti speciali, quello non è progresso.
Per questo particolare Americano mi è venuta in mente la schiuma della birra e ho provato a montarla un attimo; il risultato è stato una crema di un bellissimo colore e struttura che resta nel cocktail. Ecco anche solo riuscire a modifcare la texture è un buon modo per cambiare i cocktail. Un altro bell'esercizio di stile per me è la realizzazione di cocktail ispirati ai profumi di Trussardi, come il Trussardi Femme Parfume. È un concept che piace moltissimo: l'odore del cocktail è una aspetto ancora poco sviluppato.
Il bartender di cui condivide il pensiero e di cui ammira la carriera?
Sicuramente Salvatore Calabrese: è un bartender che è intervenuto nella storia dei cocktail, e non è poco. Prendete ad esempio Lo Spicy Fifty il Black Martini, sono dei riferimenti all'interno della storia del bartending internazionale che hanno cambiato il modo di lavorare.
Un locale dove bere bene, in Italia o all'estero?
Per bere ho scoperto il Langham Hotel a Londra; dietro il bancone c'è Simone Caporale, un ragazzo italiano che è in linea con la mia filosofia, prepara dei drink di fantasia e tiene molto alle tecniche rimanendo realista: stupisce ma con la semplicità e con una grande ricerca. Un altro luogo è a San Francisco: il Tommy's Margarita. Entri e sembra di essere in un sobborgo di Città del Messico; qui servono più di 700 margarita al giorno (fanno solo quello) e te lo servono con tanti tipi di Tequila: lì ad esempio capisci le sfaccettature di un singolo cocktail e dei distillati di diversa qualità che vengono impiegati.