“Il raviolo è una pasta piena di pensieri”, dice il poeta italiano. È vero, questo antico modo di intrecciarsi tra forma e contenuto è una preparazione che ha secoli di storia, un capolavoro culinario che richiede genio e manualità. Non è che un sottile strato di pasta che racchiude un ripieno, ma dentro ci sono gusto, cultura, tradizione, artigianalità.
Abbiamo preso il tortellino, piatto quasi sacro, nato tra Modena e Bologna, e i ravioli cinesi: li abbiamo messi a confronto. Nell’immensa Cina esistono mille varianti, così per rendere più reale il confronto abbiamo ristretto il campo a quelli che i cinesi del nord chiamano Jiaozi, che devono il nome alla forma. In cinese infatti “jiǎo” vuol dire corno. Entrambe le culture li considerano un piatto per festeggiare il nuovo anno e le ricorrenze rituali e religiose. Entrambi sono piatti complessi che richiedono tempo e abilità manuale. La preparazione dei ravioli e dei tortellini è un rito che viene celebrato insieme: chi prepara la pasta, chi la stende, chi la riempie, chi la cucina. Ma qui finiscono le somiglianze ed emergono le differenze.
La sfoglia: probabilmente una vera sfoglina - così si chiamano le esperte nel tirare la sfoglia delle paste ripiene – inorridirebbe nel vedere paragonare il suo impasto a quello di un raviolo cinese. Ma anche qui si parla di sfoglia, anche se a prepararla sono più spesso gli uomini. Il tortellino parte da farina 00 e uova, mentre il cuoco cinese usa farina 00 a volte bianca mista a farina di riso e per impastare usa solo acqua bollente. La sfoglia nel Bolognese deve essere trasparente, si dice che alzandola devi poter vedere il Campanile di San Luca. Il raviolo cinese ha invece uno spessore maggiore.
Il matterello: nella tradizione emiliana il matterello è fondamentale e una buona futura padrona di casa dovrebbe portarne in dote uno fatto su misura per lei. È lungo circa 70 centimetri e in pesante legno di faggio. Il matterello cinese è piccolo, maneggevole, corto, poco più di un palmo perché non si stende l’intera sfoglia sulla spianatoia, ma solo tanti piccoli cilindretti, uno per volta.
Il ripieno: gli jiaozi hanno tante varianti, ma noi consideriamo la variante carnivora e precisamente, carne di manzo e di maiale tritata, poi cavolo cinese, porro o cipollotto tritati, zenzero, vino di riso e olio di sesamo. Le scuole di pensiero sul vero ripieno dei tortellini sono tante, ma noi ci rifacciamo a quella depositata della Confraternita del Tortellino che riprende la ricetta più antica. Il ripieno contiene carne di maiale arrostita, prosciutto crudo, mortadella, uova e Parmigiano Reggiano.
La forma: per il tortellino si parte da un quadratino di sfoglia sottilissimo di 3 cm di diametro, poi viene piegato a triangolo e avvolto intorno a un dito. Lo jiaozi deriva da un cerchietto di pasta più spessa al centro che viene chiuso pizzicandolo alla sommità.
Cottura e condimenti: il tortellino perfetto si cuoce per pochi minuti dentro un brodo misto di gallina e di cappone. Guai ad annegarlo nella panna. Gli jiaozi si cuociono in acqua bollente o al vapore e generalmente si immergono in salsa di soia con aggiunta di aceto, aglio, zenzero e olio di sesamo.
Sul palato
Il Tortellino - servito in brodo bollente, mi raccomando - appena sfiora il palato, per via della sfoglia sottile, si scioglie immediatamente. Prima esce la sapidità del Parmigiano, poi quella del prosciutto. La mortadella fa rimbalzare le sue note speziate e in fondo arriva l’aroma leggero di noce moscata e di arrosto della domenica. Lo jiaozi non si inzuppa nella salsa piccante, ma – tenendolo ben fermo con le bacchette - si intinge delicatamente un angolo del corno, in modo da non coprire con le note piccanti il ripieno. La sontuosa grassezza del maiale viene mitigata dalle note agrumate dello zenzero e la punta acida permette di togliere untuosità e far ripartire le nostre papille gustative.