Intervistare Yoji Tokuyoshi è un'esperienza sicuramente atipica. Dove gli altri chef fanno vaghi proclami di "ricerca della materia prima" e "tradizione miscelata con innovazione" lui spiega con precisione tutte le sfide dell'aprire un ristorante: fatturati, spedizioni, dogane. E poi mostra le pareti del locale ancora vuoto, descrivendo come le dipingerà ("Verde dappertutto. E il bagno rosso per spaesare i clienti") e dove saranno i lampadari. Lo chef giapponese vuole personalizzare ogni dettaglio della prima esperienza da solista, dopo nove anni all'Osteria Francescana di Massimo Bottura, che ha lasciato nel dicembre 2013.
Difficile non farsi contagiare dall'entusiasmo e dall'energia che mette nel raccontare come sarà Tokuyoshi, il suo ristorante, che aprirà a fine gennaio a Milano, in via San Calocero 3.
Ha vissuto nove anni a Modena. Perché ha deciso di aprire a Milano?
Dopo aver lasciato la Francescana non volevo cucinare. Ho passato sei mesi viaggiando, dall'Australia al Perù. Poi ho saputo che il mio amico Wicky Priyan voleva vendere il suo locale e ho colto l'occasione. Penso che Milano risponderà bene alla mia cucina, i milanesi sono aperti e amano l'eccellenza.
E in Italia, invece, com'è arrivato?
In Giappone, quando ho cominciato, la cucina francese aveva maggiore appeal, ma io sono finito in un ristorante italiano: mi sono appassionato e sono partito. Dopo un anno in Umbria avevo deciso di tornare. All'aeroporto, però, ho comprato la Guida Espresso e letto della Francescana. Ho chiamato e chiesto se cercavano qualcuno: mi hanno risposto di presentarmi lì. Ho annullato il biglietto aereo.
Manca pochissimo all'apertura di Tokuyoshi. Vuole darci qualche dettaglio?
Saranno poco più di 30 coperti, e uno staff di 4 persone in cucina e 2 in sala - tutti giovanissimi, parte giapponesi e parte italiani. Impiattamento e finitura dei piatti saranno fatti a vista, nell'ex bancone per il sushi davanti ai clienti. Molti piatti vegetariani, poca panna e burro, ingredienti naturali.
Ma i milanesi non devono aspettarsi il sushi, giusto?
Non aspettatevi né una cucina 100% giapponese né una cucina 100% italiana. Io definisco la mia una cucina contaminata: non dimentico l'identità giapponese, costruisco i piatti con quella tecnica e quella filosofia, ma sono stato influenzato dall'Italia. Come mi piace ripetere: "Sento il presente, studio il futuro, imparo dal passato".
Può già dire il nome di qualche piatto?
I dettagli sono ancora in definizione. Molte idee le ho presentate a Dozza, tipo gli spaghetti di patate, che saranno nel menù. E sicuramente ci sarà la tradizione modenese, ma "personalizzata". Preferisco un inizio soft: anche Cracco ha cominciato con il risotto allo zafferano, e Bottura con piatti come il salmone affumicato con salsa allo zenzero e scalogno. All'inizio ci saranno due menù degustazione, di cui uno vegetariano, con prezzi intorno ai 60-80 euro.
Viene sempre definito "l'ex sous chef di Massimo Bottura". Le dà fastidio?
Assolutamente no. Bottura per me è stato come una famiglia, mi ha ispirato non solo per il modo di cucinare, ma anche per quello di essere. Era semplicemente arrivato il momento di un posto mio, dove potermi esprimere liberamente. È come essere sul palco, con le persone davanti che aspettano l'esibizione.
Quando sarete aperti?
Ho avuto qualche rallentamento per la burocrazia italiana, che ha bloccato alla dogana i piatti di ceramica fatti fare appositamente in Giappone, ma spero sia tutto pronto entro Identità Golose. Poi saremo aperti tutti i giorni tranne il lunedì. E ci tengo a dirlo: si cenerà dalle 19. Perché in Italia si mangia così tardi? Invito i miei futuri clienti a venire proprio a quell'ora.
Regolate gli orologi.