Quello di "donna chef" è un concetto che, pur senza controversie, è stato ormai ormai assimilato. Ma se dovessimo contare le donne restaurant manager in Italia quante ne troveremmo?
Per questo soprende (piacevolmente) incontrare una figura come Alessandra Veronesi, dal 1 settembre restaurant manager al ristorante Acanto dell'hotel Principe di Savoia, icona di lusso sobrio ma cosmopolita in centro a Milano. Ancora più sorprendente se si pensa che sotto di lei come sommelier dell'Acanto lavora un'altra donna, Mara Vicelli.
Alessandra è arrivata al Principe di Savoia nel 2011, e dopo quattro anni come chef sommelier lo scorso settembre è diventata restaurant manager. E pensare che quando è entrata a far parte dell'hotel non era sicura di essere all'altezza. "Quando passavo per Milano lo guardavo e pensavo 'Chissà mai che un giorno riesca a lavorare qui'. Avevo due sogni: quello e toccare la Statua della Libertà. Il secondo è stato più facile da realizzare, è bastato un traghetto fino a Staten Island" ride Alessandra.
Noi di Fine Dining Lovers le abbiamo fatto qualche domanda sulla sua carriera e il suo ruolo al Principe.
Come ha cominciato la carriera in questo settore?
I miei genitori avevano un ristorante, La Cantina a Vago di Lavagna, in cui ho lavorato diversi anni. Quando si sono ritirati io e mia sorella siamo rimaste "nell'ambiente", lei come personal chef e io come sommelier. Sono stata a Villa del Quar quando ancora aveva due stelle Michelin sotto Bruno Barbieri, all'Antico Caffè Dante di Verona, e ho fatto anche esperienze a New York.
Perché ci sono ancora poche donne che fanno la sua professione?
Le cose sono già cambiate - almeno un po'. Una volta era un lavoro prettamente maschile. Quando 20 anni fa ho fatto il corso da sommelier eravamo otto donne, ora ne trovi almeno la metà. Sono poche per un discorso di tempo: tendiamo a sacrificarci per il compagno e i figli, ma se vuoi fare carriera devi girare molto, imparare le lingue.
Io non rimpiango nessun sacrificio fatto. Il concetto di faticare per ottenere ciò che voglio per me è fondamentale. I miei genitori mi hanno educata a essere libera e intraprendente: tutto quello che ho me lo sono guadagnato. E non mi sono mai alzata un giorno senza pensare di amare il mio lavoro.
Quanto è importante il vino nella sua vita?
Il vino è la mia vita. Ci sono i sommelier tanto per fare, e poi quelli che lo vogliono davvero: quelli che studiano i terreni, la chimica, il corpo umano; quelli che si interessano di acqua, caffè, distillati; quelli che padroneggiano nozioni di gestione e contabilità.
Quali sono le doti fondamentali di un maitre?
La conoscenza della materia prima, la discrezione, e il saper tracciare la linea tra empatia e fermezza: sei il mio cliente e io sono al tuo servizio, non siamo amici. Poi certo, un pizzico di simpatia serve sempre.
Secondo lei cosa rende l'Acanto unico, nel panorama dei ristoranti di hotel?
Siamo noi che ci lavoriamo. In una città come Milano, dove ormai ci sono tantissimi alberghi di lusso, è il fattore umano che fa la differenza. Capiscono che ci piace lavorare qui, e che se sorridiamo lo facciamo perché lo sentiamo davvero, perché vogliamo farli sentire accolti. Io non ho clienti, solo ospiti.
E quanto alla carta, invece? Come l'ha "modellata" in questi anni da head sommelier?
Chi c'era prima di me non amava le verticali, mentre io ho cercato di costruirne tante, sia sui grandi vini italiani che quelli stranieri. La carta ben bilanciata, "gira" tutta con le sue 700 etichette: ha vinto per 3 anni di fila il secondo step del Wine Spectator Award.