Colonna portante nella sala de La Madernassa, ristorante una stella Michelin di Guarene, tra Langhe e Roero, Alessandro Tupputi ha saputo negli anni osare, conquistare la fiducia della proprietà, dello chef Michelangelo Mammoliti e, chiaramente, dei clienti. Oggi il sommelier ha carta bianca nella costruzione di degustazioni capaci di trasformare il fine dining in un'esperienza all'insegna della scoperta e della condivisione.
Il suo percorso in sala parte da lontano per poi farlo tornare a casa, in Italia. Tra le sue esperienze quella in Ontario, in Canada, in un hotel 5 stelle, poi al Conrad di Dubai. Si sposta in seguito all'Armani Ristorante Ginza di Tokyo. Quando rientra nel Bel Paese lavora al Villa Maiella, stellato abruzzese dove rimane quattro anni, e inizia ad occuparsi dei vini. Poi, la chiamata al fianco dello chef Mammoliti.
Ecco cosa ci ha raccontato della sua vita e del suo lavoro. L'intervista di Fine Dining Lovers ad Alessandro Tupputi.
Come ha iniziato ad occuparsi di vino?
Ho iniziato a fare il sommelier al ristorante Villa Maiella a Guardiagrele, affiancando il figlio della proprietà, Pascal Tinari. La mia passione però ha inizio molto prima, quando ancora ero ragazzo. C’è una cosa che mi ha sempre affascinato e spinto verso questa realtà: il fatto di riuscire a indovinare il gusto di un cliente senza averlo mai visto prima. Ho sempre pensato che questo approccio avesse qualcosa di magico. Sapere cosa vorrà bere, già dalla prima stretta di mano. Questo è stato e sempre sarà lo stimolo per non rimanere ancorato soltanto a ciò che già conosco, né arroccarmi sulle mie certezze.
Qual è stato il vero salto nella sua carriera?
Ogni esperienza, ogni cambiamento permette piccolo salti nella propria carriera. Essere approdato al resort La Madernassa ha però avuto un risvolto ancora più importante. Qui devo confrontarmi con i piatti dello chef Michelangelo Mammoliti, che sono ogni volta una sfida. Non sono semplici, hanno una complessità di sapori importante, vanno rispettati. Questo mi ha portato negli anni ad approfondire e ricercare sempre nuove tipologie in abbinamento.
Ci racconta com’è stato il suo arrivo presso La Madernassa?
Sono arrivato a La Madernassa grazie allo chef, mi volle lui nella sua brigata. Quel giorno provai un mix di emozioni. È stato esaltante - e lo è ancora oggi - trovarsi qui, nella regione che ha fatto la storia del vino in Italia e nel mondo.
Come ritiene si sia evoluta la figura del sommelier in questi anni?
Penso che la figura del sommelier debba ancora evolversi tanto, soprattutto dal punto di vista comunicativo. Molto spesso si tende a fare sfoggio della propria cultura enologica in maniera fine a se stessa. Troppe volte ci si limita a descrivere un vitigno in maniera standardizzata, senza fare apprezzare davvero al cliente la ragione di una scelta e lo spessore di un vino. Penso che per evolversi davvero si debba incominciare a parlare in maniera più immediata, in modo da non creare difficoltà di interpretazione. Bisogna usare parole semplici e le terminologie, quando sono complesse, vanno spiegate. Perché anche questo fa parte di quel percorso che la gente ricerca quando si siede ai nostri tavoli.
Nella cucina dello chef Mammoliti è fondamentale l’aspetto naturale del piatto. Come interpreta questa filosofia in cantina?
Devo molto a Michelangelo perché, grazie alla sua filosofia spiccatamente green, ho avuto la possibilità di approfondire la mia passione per i vini biologici, biodinamici e triple A. Ho sviluppato con il tempo una carta dei vini di settecento etichette in perfetta simbiosi con i piatti dello chef ed abbiamo così creato la giusta cassa di risonanza per quei piccoli produttori, lontani dai riflettori, che sono delle vere perle e che hanno bisogno di palcoscenici come il nostro per essere scoperti dai clienti.
C'è ancora chi si lamenta di determinati odori di vini biologici o biodinamici...
C’è una frase che mi porto dentro da sempre ed è il mio mantra: "Non esiste un vino cattivo, solo dei cattivi abbinamenti".
Quali sono i vini che preferisce?
Preferisco i vini “piccoli”. Piccoli produttori per piccole quantità. Mi sono imposto di inserire in carta tante tipologie che meritano di essere valorizzate e che spesso, nel corso della storia, sono state bistrattate. Non ne faccio solo una questione di ricercatezza, ma soprattutto di qualità, che è la cosa che mi guida prima di ogni altra. Non vado a ricercare vitigni sconosciuti per un mio fregio, ma perché so che nella maggior parte dei casi ci sono vini incredibili nascosti in piccole produzioni. La mia tipologia preferita, a volermi sbilanciare, è il moscato secco di Paolo Berutti.
Cosa le ha insegnato maggiormente il lavoro in questo ristorante?
Innanzitutto mi ha insegnato che esiste anche un territorio interessante e complesso come il Roero, proprio per la posizione geografica de La Madernassa, che si trova a cavallo tra Langhe e Roero. Ma soprattutto ho imparato ad apprezzare ancor di più l’incredibile fortuna che abbiamo in Italia, che prende forma nella complessità di sapori e di terroirs. Purtroppo non tutti se ne accorgono.
C’è qualcuno che considera suo maestro?
Sì, anche se non ho mai avuto il piacere e l’onore di poter lavorare con lui. Lo considero tale perché, nonostante il suo sapere immenso e la sua fama, è rimasto umile, con una innata capacità di far innamorare ogni cliente del vino che propone. Sto parlando di Vincenzo Donatiello, un’icona da seguire per chiunque ami questo mondo.