Quando Alice Paillard è nata, nel 1982, era passato solo un anno da quando il padre Bruno aveva deciso di creare una maison di champagne.
All'epoca lui era solo un commerciante d'uva con una cantina in affitto; 35 anni dopo Bruno Paillard è diventata una delle maison di champagne più note al mondo e allo stesso tempo più apprezzate dagli intenditori, e la figlia si prepara a succedergli alla guida dell'azienda.
Abbiamo incontrato Alice in occasione di un pranzo organizzato dalla maison a Casa Perbellini per presentare il Cuvée Assemblage 2008. Con il sorriso gentile e l'eleganza naturale che condivide con il padre, ci ha raccontato i suoi champagne con parole di un'efficacia suggestiva, e le abbiamo rivolto qualche domanda su cosa significhi, oggi, guidare un'azienda vinicola, e soprattutto farlo da donna - specialmente in un territorio storicamente "femminile" come la Champagne.
Come ha deciso di iniziare a lavorare con suo padre?
Quando ero giovane mi infastidiva il pensiero di lavorare con papà, penso come qualsiasi ragazzo. La sensazione di non avere libertà di scelta è odiosa. I miei genitori non si sono mai permessi di farmi pressione: ho iniziato di mia scelta a fare lavori estivi partecipando alla vendemmia o nei negozi di vino, poi mi sono laureata in management con specializzazione in vino ... è stata un processo graduale di cui non ero del tutto consapevole. Un giorno mi decisi e gli dissi "Vengo per 3 anni": meno non mi sembrava giusto provarci per meno tempo, ma non ero sicura di voler restare. È stato 8 anni fa.
Qual è il suo ruolo attuale nell'azienda?
Ho preso in mano la gestione, insieme a mio padre, solo da pochi anni. È come se io facessi almeno 6-7 mestieri in uno. È un lavoro che dà tanto, ma che richiede tantissima organizzazione. Amo visitare i clienti - in Italia ad esempio è bellissimo collaborare lo chef Antonio Guida e il suo team: precisi, appassionati, danno sempre grandi soddisfazioni - ma ho anche bisogno della presenza in vigna. Sono due modi diversi di fare ricerca ed esplorare, in un interscambio continuo.
Come si conciliano lo spirito luxury dello champagne e la sua anima rurale?
È questo che è interessante: uno nutre l'altra. Non dobbiamo rinchiuderci in una torre d'avorio. Mi piace leggere i racconti della Champagne dei secoli passati. C'erano produttori che proponevano i loro vini alla corte di Russia, parlavano direttamente con lo zar, e poi tornavano a lavorare in vigna: piedi in terra e testa nelle stelle, un motto che vale ancora adesso.
Qual è il più grande insegnamento che le ha fatto suo padre?
Prima di tutto l'educazione, che sia nel trattare con altre persone o nel modo di porsi in cantina. È sempre stato molto esigente e quindi lo sono diventata anche io con me stessa. Sono entrata in azienda molto tardi e ho avuto tempo di sviluppare un'idea precisa di come volevo essere.
Come definirebbe i vostri champagne?
Incarnano le radici del territorio: un'eleganza austera data dall'opera del tempo, dalla complessità della regione ma anche dall'indispensabile assemblage dell'uomo. Come dice un proverbio francese, "Il versante Nord della montagna è quella più difficile", ed è quello su cui camminiamo noi. Adesso decidere di produrre "in piccolo e di qualità" è una scelta controcorrente proprio come lo era una volta. Per secoli le maison di champagne sono sempre state a conduzione familiare, ora tante sono state vendute a grandi gruppi e si trovano anche al supermercato con una qualità standardizzata. Purtroppo così la gente inizia a credere che i prezzi alti non siano giustificabili.
Cosa c'è nel futuro della maison Paillard?
Come si legge nel Gattopardo, "Bisogna cambiare tutto affinché nulla cambi". Vogliamo continuare a rafforzare l'espressione della nostra identità e trasmetterla a chi ha passione.
Argomento "caldo" in Italia, forse meno sentito in Francia: come si conciliano lavoro e famiglia?
Lo saprò tra 20 anni. Ho due bimbi meravigliosi: l'unica risposta sarà la loro salute e quella dell'impresa. Sarò riuscita a mantenere la qualità e l'identità di Paillard? I miei figli saranno due belle persone, e soprattutto due persone felici? Ho dovuto accettare il fatto che non ho e non avrò mai la disponibilità per il mio lavoro che aveva mio padre. Ora viviamo in un altro mondo e non sono da sola, in ogni senso: amo lavorare in team.