È passato un anno dalla creazione dell’Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto, nata per rappresentare il concetto di gusto italiano attraverso molteplici iniziative, mettendo ordine in questo caotico mondo ristorativo del Belpaese.
Il 2 ottobre di quest’anno si è tenuta a Palazzo delle Esposizioni, ormai decennale casa dello chef Antonello Colonna e del suo Open, il primo convegno nazionale, Italia-Mondo andata e ritorno, per definire un’agenda delle priorità attraverso quattro temi critici: fiscalità, formazione, Made in Italy e sfida del cibo italiano. Tanta carne al fuoco per mettere in luce i più importanti ostacoli da superare. A seguire la cena a scopo benefico 7 Chef Per Amatrice, omaggio al piatto ma soprattutto ai concetti di italianità e convivio.
Presenti in sala, oltre alle molte e illustri persone che hanno parlato, importanti chef dell’ambiente romano e non come Giulio Terrinoni, Luigi Nastri e Davide Oldani. da sempre dentro il progetto. A sostegno della presidente dell’Associazione Cristina Bowerman al tavolo della discussione c’erano invece Carlo Cracco, Enrico Bartolini, Niko Romito, Luca Fantin e naturalmente il padrone di casa Antonello Colonna.

Le parole di apertura di chef Bowerman sono i capisaldi di ciò che gli Ambasciatori si prefissano di fare, anno per anno, superando uno alla volta gli ostacoli che si frapporranno tra il progresso e il cammino. “In questa conferenza Italia Mondo-Andata e Ritorno si vuole aprire un dialogo su cosa di grande ha l’Italia nel mondo e come il mondo contribuisca a rendere grande l’Italia. Vogliamo dare contenuto, visibilità e occasione, rafforzare i valori della qualità, della tradizione e della conoscenza della cucina, interagendo tra colleghi e istituzioni e contribuendo a formare le nuove generazioni” ha detto prima di lasciare la parola a Carlo Cracco. Il quale si sta impegnando in prima linea sul discorso della formazione delle nuove leve e muove i primi passi parlando dell’istituto alberghiero di Amatrice, oggi spostato temporaneamente a Rieti. Da qui partirà il nuovo modello integrativo, che mira ad affiancare quello che già c’è. “Un approccio diverso, che cercheremo di condividere con il Ministero dell’Istruzione, in modo da poter creare qualcosa che ancora non c’è. L’intenzione è quella di andare nelle scuole e creare questo modulo, cercando ognuno di noi di abbracciare l’istituto alberghiero più vicino. È l’esempio migliore per far capire ai ragazzi quanto la formazione sia importante”.
La fiscalità è stata il punto di partenza all’ordine del giorno e, data l’aura nebulosa che la circonda, forse è stato anche l’argomento più succoso di tutto il convegno. Ad aiutare la platea a muoversi in questo mondo ci sono stati il professore ed economista Saverino Salvemini della Bocconi di Milano e il generale Cosimo Di Gesù, comandante provinciale della Guardia di Finanza di Roma. Il professore ha tenuto una buona lezione di economia, cercando di dare delle soluzioni al problema delle imprese fallimentari, che sempre più dilagano nel paese: serve un’amministrazione manageriale, a tutti i livelli, alleanze imprenditoriali con banche e soci e un’organizzazione precisa di quello che saranno i costi per non essere presi alla sprovvista. “Basta con la storia de 'Il piccolo è bello', è ciò che ha portato alla crisi del sistema. Serve a tutti i livelli un modello di replicazione per poter pensare di gestire bene un’attività e espanderla. Per fare un esempio culinario, non basta più dire metto un pizzico di sale, ma è necessario dare la quantità esatta in grammi”.
La formazione, tema d’inizio, è stata invece affidata alle parole dello chef tristellato Niko Romito, che ha letteralmente mandato in visibilio la platea mettendo a discorso ciò che è nei pensieri di tutti gli addetti ai lavori da molto tempo. “Il docente preparato, che ha studiato e girato il mondo, deve dare sempre più valore alla cucina italiana. Si rischia che questi ragazzi siano influenzati più dal web che dal corpo docente. Gli esempi sono i ragazzi di 18-20 anni che seguono il modello di scuole di cucina in grande voga, in questo momento la cucina del Nord Europa, mentre dieci anni fa era la cucina francese. Noi abbiamo il 40% del programma didattico che parla di fondi, basi e mantecature a burro, tutte cose non rappresentano minimamente la nostra cucina. Io andrei a rivedere i contenuti anche tecnici a partire dalla grande cucina tradizionale italiana, evoluta in chiave moderna”. Applausi. Sinceri.

Interessanti sono stati anche gli interventi sulla cultura e il valore del Made in Italy, dove Luca Fantin ha parlato della sua esperienza al Bulgari di Tokyo portando una singolare soluzione alla questione del marchio italiano all’estero. Se prima le materie prime se le faceva spedire, molto presto ha capito invece che la filosofia da perseguire non era la materia in sé, ma chi la procura: la maggior parte degli chef allo stesso livello a Tokyo ha 3 o 4 fornitori, lui ha deciso di averne più di 50 a livello locale. Dal riso al radicchio, una microeconomia di scala al ristorante.
Più tagliente Enrico Bartolini, che senza mezzi termini ha portato sul piedistallo il problema dei camerieri: visto il più delle volte come lavoro di passaggio, c’è questa frattura apparentemente insanabile tra le eccessive (ma necessarie) richieste dei ristoratori e una condizione salariale troppo bassa. “Bisognerebbe trovare un modo per non rendere la retribuzione troppo penalizzata, concedere magari sgravi fiscali, non un giorno di riposo o una divisa nuova”.
La grande sfida del cibo italiano è appena cominciata e sono i luoghi di scambio come questo, che possono contribuire a rendere il nostro immenso patrimonio inattaccabile, gioiosamente replicabile. “Il Made in Italy è il terzo marchio più esportato al mondo” ricorda il sottosegretario del Mibact Dorina Bianchi.