Passare dalla laguna di Venezia al centro di Milano è un bel cambiamento per chiunque. Figurarsi per un ragazzo di venticinque anni, che nel giro di un anno ha conquistato una stella Michelin e si è poi trovato a guidare la ristorazione di un relais & châteaux meneghino.
Eppure Andrea Asoli appare di una calma quasi serafica mentre racconta il lavoro che ha fatto e che sta facendo all'interno del Ristorante Rubacuori by Venissa, il nuovo progetto di ristorazione iniziato tre mesi fa all'interno dello Château Monfort, in Corso Concordia a Milano.
Un format che "esporta" la cucina lagunare di Venissa, l'incantata realtà sull'isola di Mazzorbo, in cui Andrea ha lavorato per un anno insieme ad altri tre (giovani) chef, premiata con la stella nell'edizione 2016 della Michelin. Andrea è poi passato a Milano, ma il progetto rimane sempre lo stesso: avere otto mani in cucina e continuare a stringere collaborazioni in Italia (e non solo - sono in programma sortite all'estero).
A Venissa avete creato un codice che racchiude quelle che sono, per voi, le regole fondamentali. Qual è la più importante per lei?
La numero 7, ovvero "le conoscenze dei nostri anziani sono per noi una ricchezza fondamentale". Attingo sempre dalla tradizione, anche andando indietro di secoli: ho fatto un piatto, gli gnocchi di polenta bianca, rielaborando una ricetta del 1500.
A Milano sta trovando molta ispirazione?
Certamente. Appena posso visito ristoranti - non necessariamente stellati, anche trattorie, che sono poi le cucine in cui mi sono formato. Ho anche cominciato a utilizzare ingredienti per me nuovi, come il pesce di lago. Uno dei piatti del nuovo menu è Ravioli col ripieno di mondeghili e ragù di pesci di lago, guancette, bottarga e gonadi.
Lei definisce la vostra una cucina veneziana "sporca".
Esatto, cucina veneziana dirty, contaminata. Prendiamo ispirazione da tutti i posti in cui ci spostiamo, lasciando fissi i nostri capisaldi: le regole, il modo di lavorare, le idee. E la forza del team.
Ha portato qualcuno della squadra di Venissa con lei?
Il mio secondo, che ha 21 anni. Siamo tutti giovanissimi. Io però non mi sento un grande chef che comanda, cerco di farmi voler bene dalla mia squadra in ogni situazione. Per lavoro mi sono rapportato sia con persone più grandi che con persone più piccole e ho capito che alla fine quello che conta è la storia dietro una persona, non la sua età.
Lei ha 25 anni, moltissime responsabilità e pochissimo tempo libero. Faticoso?
L'età più difficile è stata dai 17 ai 21 anni, quando tutti i miei amici andavano al mare e a ballare e io stavo in cucina a lavorare - ho cominciato a fare le stagioni già a 14 anni. Ora è semplicemente diventata la mia vita.
La passione per la cucina c'era fin da piccolo?
Assolutamente sì. Invece che giocare ai soldatini sbucciavo i fagiolini per la nonna. Poi ho fatto stagioni in ogni tipo di locale, sono passato dalle pizzerie ai cestini per Cinecittà. L'esperienza che mi ha cambiato sicuramente è stata con Luca Verritti al MET di Venezia. Infine è arrivata Venissa, e quella stella in cui nessuno credeva tranne noi e il signor Oscar Cavallera (il loro consulente, NdR).
C'è qualcosa della sua infanzia romana nei piatti che crea?
Sicuramente: in menu ho anche uno Spaghettone Benedetto Cavalieri mantecato al cacio e pepe, tagliatelle di seppie e salsa di bucce di limone. Ma alla fine è Venezia la città dove ho lavorato di più, Venezia la città che mi ispira i piatti di cui vado più fiero, come i Gnudi in brodo di verdure di stagione con sorprese di baccalà mantecato.
Entrare in una realtà ristorativa all'interno di un albergo esclusivo, in una città competitiva come Milano: qual è stata l'accoglienza?
Soprattutto i clienti italiani stanno apprezzando moltissimo la mia "svolta" del menu. Quasi tutti mi fanno i complimenti. E poi stanno piacendo molto i dolci, evidentemente ho scoperto un mio talento!
Nel suo futuro cosa c'è?
Seguire il progetto di Venissa. Non sono mai stato all'estero, sicuramente vorrei provare qualche esperienza. E poi c'è sempre l'idea della mia città, Roma, in cui sento fortissime le radici. Un giorno, magari ...