Sadler è uno dei locali che ha fatto la storia della ristorazione meneghina e italiana: Claudio Sadler è un volto simbolo della buona cucina nostrana, quella che è fatta di colpi di genio, certo, ma che ha radici profonde nella cultura gastronomica del nostro paese.
Ma com'è lavorare con un maestro come Claudio Sadler, ed essere il suo braccio destro? Lo abbiamo chiesto ad Andrea Gianella, lombardo DOC, e sous chef di Sadler da un anno. Andrea, classe 1987, ci ha parlato del suo percorso e della vita di tutti i giorni in un ristorante così importante.
Ci racconti il suo percorso ristorativo.
Il mio è il classico percorso da chef: inizio con la scuola alberghiera, e l'estate del primo anno comincio subito con gli stage, soprattutto negli alberghi, che all'epoca erano considerati un po' il punto di arrivo per la nostra formazione - non si ambiva ancora ai ristoranti stellati e ai grandi nomi. Giro un po' tutto il Nord Italia e imparo tantissimo, vado anche in Francia. Poi arrivo da Emilia & Carlo e lì capisco cosa voglia dire ristorazione, con cotture espresse e tutto il resto. Fra i miei maestri Corrado Lombardo ed Ezio Santin all'Antica Osteria del Ponte; con i Santin ci sentiamo ancora e nutro per loro un grande rispetto.
Come arriva da Sadler?
Arrivo circa 3 anni fa: l'allora pasticcere era un mio amico e mi disse che si stava liberando un posto in cucina. Inizio come capopartita dei primi, e poi negli anni ruoto, fino a quando l'anno scorso lo chef mi propone questo ruolo come responsabile della parte salata - dei dolci si occupa il mio collega giapponese. È stata una grande soddisfazione, non lo nego.
Com'è lavorare con uno chef come Claudio Sadler?
Ti lascia davvero molto spazio. Poi certo, fa le sue valutazione alla fine del mese, ma intanto ti lascia imparare, anche sbagliando. Sadler trasmette a tutta la cucina la voglia di non fermarsi mai, il dinamismo, e questo è fondamentale per il morale. La cosa che ci dice sempre è "scherzare quando bisogna scherzare, avere metodo quando bisogna applicarlo". Non a caso ci troviamo tutti molto bene: il gruppo, soprattutto da un anno a questa parte, è davvero affiatato e solido, riusciamo a lavorare in maniera positiva e costante con la giusta dose di fatica.
E in un gruppo così affiatato come si inseriscono i ragazzi più giovani?
Da noi gli stagisti per esempio non pelano le patate, ma si occupano di una parte molto importante, che sono la panificazione e i piccoli stuzzichini che serviamo come benvenuto al tavolo. È una buona opportunità per farli imparare. I ragazzi molto giovani, quelli che arrivano dalle scuole, sono davvero preparati e soprattutto si aspettano che questo lavoro sia faticoso. Non posso dire lo stesso dei ragazzi o delle persone più grandi che arrivano in cucina magari perché hanno deciso di cambiare vita, di abbandonare gli uffici, e che pensano di saper già cucinare. Adesso purtroppo fare lo chef è un lavoro che va di moda, a volte anche un "mestiere per ricchi". A loro in alcuni casi manca l'umiltà, che è fondamentale, perché quando arrivi per ultimo in una cucina, qualunque età tu abbia, devi sempre seguire e adattarti.
Cosa non ha ancora imparato da Claudio Sadler?
Una sua grande dote, che sto cercando di imparare al meglio, è la capacità di rendere ogni piatto bellissimo. Da ogni pietanza riesce a tirare fuori delle presentazioni incredibili. Entrare nella sua testa, cercare di fare le cose come le fa lui, è difficilissmo, ma ci sto provando, e in questo sono avvantaggiato, perché c'è un buon feeling lavorativo.
Cosa vuol dire per un ragazzo così giovane essere responsabile di una cucina così importante?
Non nego che a livello di curriculum sia uno passo molto importante, ma la cosa che per me ha più valore è imparare da persone che abbiano radici profonde. Volevo collaborare con lo chef fin dai tempi della scuola, quando sfogliavo i suoi libri. Mi chiedevo sempre "chissà cosa ci sarà dietro tutto questo rigore, chissà se riuscirò mai a lavorare nelle sue cucine". Quindi quando ci sono arrivato per me è stato un bel banco di prova. Essere in una cucina così prestigiosa ti dà la possibilità di affinare la tua tecnica e vale assolutamente l'impegno che richiede.
Aprirebbe mai un suo ristorante?
Si, magari in futuro mi piacerebbe aprire un ristorante dove servire cose semplici fatte bene, con criterio e un attimino di razionalità. Insommam non aprirei mai uno di quei ristoranti che dicono di cucinare cose semplici e genuine, ma poi ti servono gli asparagi a dicembre. Non lo aprirei a Milano, però, anche se è una città che ha ancora molto da offrire. Mi piacerebbe aprirlo nella zona in cui vivo, non c'è nulla di interessante lì.
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