La vita è un percorso alla scoperta della propria unicità. Lo sa bene Antonia Klugmann, chef stellata titolare del ristorante L'Argine a Vencò, che ha aperto nel 2014 in provincia di Gorizia.
Zona trasfontaliera tra Italia e Slovenia, questo luogo non è stato scelto a caso, ma rappresenta al meglio la bellezza della natura, l’importanza della sostenibilità e la ricchezza che nasce dalla contaminazione.
L'Argine a Vencò - credit: Francesco Orini Photographer
Chef di particolare bravura e sensibilità, Antonia Klugmann parte dall’ingrediente per parlare di territorio, ecologia, società e politica.
La chef triestina sarà impegnata come giudice della quarta edizione di S.Pellegrino Young Chef 2020, in programma a Milano il prossimo 21 Ottobre 2019. Con lei, pronti a giudicare i dieci finalisti regionali, anche Pino Cuttaia, Matias Perdomo, Marianna Vitale, Janez Bratovž, Ana Grgić e Oana Coantă. Il vincitore della finale regionale accederà, poi, alla finale internazionale del 2020, dove dovrà confrontarsi con i finalisti delle altre 11 regioni in gara.
Antonia Klugmann al lavoro - Argine Francesco Orini Photographer
È contenta di essere tra i giudici della S. Pellegrino Young Chef?
Moltissimo, anche perché in giuria sono presenti colleghi che sono anche cari amici. Il nostro lavoro ci tiene per molte ore in cucina e non ci sono molte occasioni per vedersi, parlare e incontrarsi. Sarà una bella occasione di arricchimento anche per noi giurati.
Cosa cerca in un S.Pellegrino Young Chef?
Posso dirle cosa non cercherò mai: la fotocopia di me stessa. Sono sempre stata incuriosita dall’altro, dal diverso, dall’unicità che è nascosta in ciascuno di noi. Cercherò la bellezza che si nasconde tecniche, idee e stili diversi dai miei. Sarà molto affascinante vedere l’energia che questi giovani metteranno in campo per esprimere il proprio mondo interiore e la propria visione. Credo che il nuovo S. Pellegrino Young Chef debba essere una persona “pensante”, che riflette e che si mette sempre in discussione, che non imita, ma cerca la propria via per donare agli altri – con sensibilità - il proprio originale punto di vista.
Che consiglio vuole dare ai giovani che parteciperanno alla gara?
Di partire dall’ingrediente. L’ingrediente è tutto. Oggi il lusso non sta più nell’utilizzo di foie gras o caviale, o nell’acquisto di materie prime costose. Il futuro della cucina sta nello riscoprire gli ingredienti – semplici e bellissimi – del nostro territorio. Un pomodoro maturato alla perfezione, una zucchina, un’alice devono trovare sempre più spazio nell’alta cucina. Si inizia dall’osservazione dell’ingrediente per procedere con tecniche di cottura, prove di stratificazione del gusto e abbinamenti. Questi ingredienti, che un tempo venivano considerati erroneamente “poveri”, in realtà racchiudono una potenza espressiva di gusto che aspetta solo di essere portata alla luce.
Creme caramel di topinambur - credit: Francesco Orini Photographer
Come si fa a interpretare al meglio questi ingredienti così semplici?
Ci vuole molto studio e riflessione. Il tempo è un elemento indispensabile. In cucina, come nella vita, non si può avere fretta. Grande concentrazione e umiltà sono le chiavi per cucinare un buon piatto, ma anche per la realizzazione personale. I “tempi dello studio” sono diversi dai “tempi della superficie”.
Qual è il suo più bel ricordo degli anni della giovinezza, quando era all’inizio del suo percorso?
Avevo appena finito un servizio abbastanza faticoso in una cucina professionale. Ricordo che ai tempi fumavo ed ero uscita all’aperto dopo aver concluso i lavori di pulizia con i miei compagni di brigata. Guardando dall’esterno le pentole pulite e i piani di acciaio che risplendevano, mi sono sentita veramente felice, ho sentito di appartenere profondamente a quel luogo. Un’onda silenziosa di gioia che mi ha confermato che la mia vita sarebbe stata in cucina.
credit: Francesco Orini Photographer
Poche donne chef in un mondo quasi completamente maschile. Come fare per “bilanciare” la situazione?
Sicuramente non credo che la soluzione siano le “quote rosa”. Penso che il talento sia distribuito in maniera equa in ogni generazione, in ogni età, in ogni genere: quindi se in un settore c’è una prevalenza netta di uomini o di donne bisogna iniziare a farsi delle domande. E poi fare il possibile per abbattere le barriere e le cause che “sbilanciano” la situazione da una parte o dall’altra. Ci deve essere sempre equilibrio, anche di genere, perché solo nella diversità si può trovare la via dell’arricchimento. Già il fatto di parlarne e interrogarsi è un primo passo importante. Vuol dire che si sente l’esigenza di cambiare le cose.
Vuole dedicare un pensiero “speciale” ai candidati italiani?
Sì, a loro vorrei dire che è importante che, attraverso i loro piatti, provino a raccontare al mondo la complessità del nostro Paese. L’Italia è un Paese sfaccettato, con tante tradizioni, ingredienti e storie quante sono le nostre regioni e, all’interno di ciascuna regione, ci sono, a loro volta, infinite sfumature e storie da raccontare. Vorrei che i candidati italiani vedessero questa caratteristica dell’Italia non come un limite ma come una forma di ricchezza.
Secondo lei, come dovrebbero affrontare la gara i giovani talenti in concorso?
Con la consapevolezza che le situazioni difficili sono un motivo di crescita e che la sfida, è sempre e prima di tutto, con se stessi. Il fine ultimo non deve essere la vittoria, ma il miglioramento di sé attraverso il confronto con l’altro. Solo così si diventa non solo grandi cuochi, ma persone migliori. Non bisogna mai pensare di avere la verità in tasca o vivere come “fotocopie” degli altri. Mettersi in discussione è la chiave della crescita e la S.Pellegrino Young Chef sarà un bel banco di prova per dimostrare talento, passione, originalità e apertura al dialogo.