Non vuole essere chiamato pasticcere, Antonio Colombo. "Io sono uno chef che porta la visione della cucina in pasticceria e quella della pasticceria in cucina. Bisogna evolversi in entrambi i sensi". Non possiamo quindi definirlo "giovanissimo pasticcere della Locanda Gulfi", anche perché sarebbe troppo facile citare la sua età, 26 anni a marzo: di giovane ha solo la voce, per il resto manifesta la limpida sicurezza e la maturità che colleghi ben più anziani non hanno mai raggiunto.
È arrivato due anni fa nel ristorante-locanda di Chiaramonte Gulfi, in provincia di Ragusa, poco lontano dalla sua città natale, Modica - gastronomicamente famosa per dolcissimi motivi. Prima aveva fatto esperienze nella regione (con Giuseppe Barone alla Fattoria delle Torri e con Accursio Craparo alla Locanda del Colonnello) a Roma con Andrea De Bellis e Filippo La Mantia e a Londra nel ristorante stellato di Giorgio Locatelli.
Ora che lavora insieme a Giuseppe Causarano alla Locanda Gulfi, ama lavorare senza comportamenti stagni. E infatti una sezione del menu si chiama Il dolce incontra il salato e vede piatti come La Terra (mousse alle carrubbe, cremoso nocciole e cioccolato e sorbetto alle carote) e La Cassata (ricotta ovina, marzapane alle ortiche e purea di frutti rossi e frutta candita).
È per questo che non ama definirsi pasticcere?
Sarebbe limitativo. Amo sempre aggiungere un tocco salato ai miei dessert: carote, germogli, olio. Uno chef deve essere completo. Io ho cominciato quasi per caso, perché il mio primo stage è stato in una pasticceria di Modica Alta, a 14 anni.
La passione per la cucina c'è sempre stata?
Certo. Osservavo mia mamma e soprattutto mia nonna mentre cucinavano, mi dicevano sempre che ero "nato con il cappello". In realtà volevo fare il liceo artistico, ma, come mi ha fatto notare mio padre, avrei sempre fatto in tempo a disegnare e cucinare.
Qual è il suo modo di concepire la pasticceria?
Uso molti ingredienti del territorio, ovviamente, ma l'influenza della tradizione è forte soprattutto nella piccola pasticceria, dove propongo ad esempio cassatine o paste di mandorla. Comincio sempre dall'immagine che ho in testa, scelgo i colori e poi il resto. Un piatto deve prima di tutto essere bello.
Una parte indispensabile della cena, quindi?
Certo: senza dolce un pasto non è completo. La pasticceria è il bigliettio da visita di un ristorante. È quello che ti ricorderai di una cena. Il luogo, il momento, dove puoi giocare di più, e che impone uno spirito di studio diverso da tutto il resto.
Qual è la sua creazione che la rappresenta di più?
Quest'anno sono stato chef ambassador dell'Associazione Maestro Martino e ho creato L'Uovo di Colombo. Un finto uovo vegano con crumble di pistacchio, olio e farina di riso, latte di mandorla, gelatina frutto della passione.
Dove si vede nel futuro?
Noi chef siamo mine vaganti, come i calciatori. Ovviamente sogno un post mio, ma al tempo stesso tempo temo la monotonia e la continuità. Questo è un mestiere che impone di stringere i denti e sacrificarsi. Questo non è un mestiere, è uno stile di vita. Passo 15 ore in cucina e 5 a casa.
All'estero invece dove trova l'ispirazione?
La Francia è imbattibile. Una pasticceria forte e radicata, ma aperta agli stimoli esterni, a differenza di quello che fanno i nostri pasticceri.
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