La tradizione è un fatto serio. Lo chef Arcangelo Dandini ne sa qualcosa, anzi, forse è tra quelli che ne sanno di più. Con cinque locali che urlano letteralmente - tra street food e piatti al tavolo - alla tradizione romana più antica, si è tracciato i solchi per una via che lo porta oggi, a buon diritto, a essere uno dei guardiani della cucina romana tradizionale.
Nato nel 1962 a Rocca Priora, nella zona dei Castelli Romani, chef Dandini è letteralmente nato dentro una locanda. “La mia famiglia aveva una locanda, attiva dal 1850, in cui si sono susseguite prima la mamma di mia nonna e poi mia nonna stessa. Una donna forte, che ha spadellato in cucina tutta una vita”.
Una vita iniziata cullato nell’anticamera dalla cucina, passata attraverso tutti i ruoli della ristorazione, e terminato con il tutto: il mestiere del ristoratore, dell’oste. “Nonna non era di quelle cuoche che cucinavano e basta: leggeva Escoffier, faceva fondi e dalla mia famiglia ho preso l’insegnamento più importante. La partenza dall’ingrediente, dalla materia. Quando a Ferragosto era tempo di pollo coi peperoni, passavano da tutte le porte dei contadini della zona a comprare i polli migliori. Andavamo a prendere interi abbacchi con un furgone”.
Dalla cucina alla sala, perché non va dimenticato il periodo a inizio anni ’80, quando ha lavorato come sommelier per Il Luogo di Aimo e Nadia, è ritornato in cucina. Gestendo vini, conti e padelle. E la sua carta, che potete vedere oggi al ristorante L’Arcangelo, è segnata da un profondo studio della storia della cucina romana, riproposta, accennata, copiata, intatta, immortale e flessibile.
Se si chiede cosa sia la tradizione allo chef Arcangelo Dandini, risponderà che per lui vuol dire tradurre, trasportare. Perché la tradizione è un viaggio, non è ferma.
Ecco che così i piatti che propone hanno tanti rimandi alla cucina di Bartolomeo Scappi quanto a quella giudaico romanesca (“la vera cucina di Roma, perché la prima a essere codificata su un ricettario”, racconta) passando per quelli che ha imparato a conoscere dalla nonna e dal padre.
I piatti di Arcangelo Dandini
Si parte dall’antipasto come Viaggio a Rocca Priora, dove si ritrovano le origini da apicoltore nel polline utilizzato e le erbe spontanee delle sue parti, e si prosegue in questo viaggio che tocca tanto il garum, la salsa di pesce degli antichi romani, quanto la carbonara.
La scelta degli ingredienti, i loro accostamenti, sono sempre frutto di un pensiero che si rivolge alla godibilità di un pasto mangereccio e alla storia della ricetta stessa.
La carbonara di Arcangelo Dandini è l’esempio perfetto per spiegare il suo concetto di tradizione intesa come un fiume che scorre, che cambia, che evolve. Vengono tolti gli albumi, che la appesantirebbero solamente, e il pepe, una spezia che a suo parere non si sposa con il piatto, per le sue note amare e per il fatto che di popolare avesse poco. “La carbonara è nata tardi, anzi si può dire che sia stata un’invenzione degli americani che volevano qualcosa di più proteico. Quando a mia nonna ordinavano una carbonara lei non sapeva nemmeno cosa fosse e gli si spiegava essere una gricia con le uova. È interessante la carbonara perché incarna l’evoluzione di un piatto, la traslitterazione di tempi, usi e costumi”. Insomma, la carbonara viene qui intesa come la versione evoluta della gricia o della “cacio e unto”, quindi con il solo grasso.
Come abbiamo detto, se si parla di cucina romana, si deve per forza di cose parlare di cucina giudaico romanesca: è stata Ada Boni a codificare la nomenclatura dei piatti partendo dalla cucina giudaica. Quindi non potevano mancare nel menu piatti di questa tradizione. Le sue polpette di lesso e concia alla maniera ebraica mettono insieme le usanze del lesso (che si differenzia dal bollito misto perché esclusivamente di gallina) e della concia giudaico-romanesca. Le zucchine tagliate molto fini vengono condite con aglio e mentuccia, quindi fritte.
Il ristorante L’Arcangelo non è il solo luogo dove lo chef Dandini fa rivivere la tradizione romana. Quello dove le paste sono “asciutte”, quindi non mantecate ma scolate, condite e servite come una volta. Se qui, dopo una lunga esperienza da Costantini insieme a Gabriele Bonci, ha aperto nel 2003, poco più di dieci anni più tardi, lo chef Dandini ha deciso di portare in un format tutto suo il cibo di strada romano. “Servivo il supplì al tavolo, perché lo considero una parte importantissima della tradizione romana”, mi dice. E così ha pensato bene di aprire il primo Supplizio, un format che serve supplì, crocchette di patate, baccalà e altre leccornie da mangiare in un paio di morsi. Oggi di Supplizio, a Roma, ce ne sono quattro, di cui uno all’interno di un mercato rionale.
Con la cura di ogni aspetto - dal piatto alla cantina - in prima persona, con la storia di famiglia alle spalle e le conoscenze e la curiosità che prendono tanto la terra quanto preparazioni alla corte dei papi e quelle contadine, Arcangelo Dandini ha costruito le basi del suo essere a guardia di un universo in continua codificazione.
Esperto di tradizione sì, ma che non dimentica - anzi ricorda - che il significato è andare avanti senza staccare gli occhi dietro. Tradizione e innovazione? Non serve parlarne. La prima parola racchiude entrambe.
Tutte le foto sono di Alberto Blasetti