Cosa mangeremo nel 2067 non è solo un argomento da gourmet preoccupati da una carestia di champagne o di giornalisti in cerca di foodtrend: interrogarsi sul cibo del futuro non è quindi solo una questione di gusto, ma anche – e soprattutto – di sopravvivenza.
Cucinare il cibo è quello che ci distingue dagli altri animali e ci ha permesso di evolvere, facendo di noi ciò che siamo: cosa accadrebbe se non ne avessimo più la possibilità, perdendo il contatto proprio con la parte più primitiva del nostro rapporto con il cibo?
Se lo sono chiesto anche otto grandi chef da tutto il mondo, che insieme a scienziati, artisti, politici, produttori e ricercatori hanno messo in scena per la prima volta un esperimento sociale, politico, economico, ecologico - e gastronomico - mai tentato prima: The Catastrophic Meal (qui il sito).
La discussione è cominciata a febbraio 2017 in Danimarca, e il 26 Aprile a Vestjyllands Højskole, nel mezzo della campagna, hanno dato vita alla prima di una serie di cene-performance in cui provare a predire due diversi avvenire, uno utopico e uno distopico, completamente opposti e paradossali: il primo proposto come modello ideale, il secondo come scenario spaventoso e molto poco desiderabile.
L’obiettivo della provocazione, ri-pensare il futuro, slogan delle manifestazioni che animeranno quest’anno Aarhus e la regione danese del Mid-Jutland come European Capital of Culture and European Region of Gastronomy.
Il futuro non è più quello di una volta
La cena comincia all’aperto giocando nella contrapposizione fra calorie sintetiche e insapori, e tamales cucinati sotto la brace in modo tribale. Poi lo chef Sioux Sean Sherman, dal Minneasota, offre cibo selvatico, facendo come per secoli ha fatto il suo popolo. In una terra ricca, i nativi americani non hanno mai allevato o coltivato, vivendo in pace con la natura e ricevendo da essa tutto ciò che avevano bisogno, come in un giardino dell’Eden. Ogni portata viene pensata e cucinata da uno chef, e servita in un diverso set, allestito per l’occasione.
Insetti, e non per tutti
Proteine animali derivate dagli insetti, fonte di nutrienti altamente sostenibile. Ecco cosa potremmo finire per mangiare in un futuro in cui vacche, maiali e polli sono diventati specie protette e non c’è più terra per allevarli. Ci si sta preparando da anni lo chef canadese Thémis, che ha cucinato per l’occasione una sofisticata bisque di grilli e pane proteico alle larve. Viene servita agli ospiti scettici di questo futuro immaginario, e in pochi accettano la sfida culinaria sapendo cosa c’è nel piatto. Nel mentre un gruppo di comparse si accalca in cerca di cibo: la cena non è solo un’esperienza gastronomica ma una performance teatrale.
La fine della cucina
Da una portata all’altra, da un allestimento al successivo, senza più acqua, aria e terra a disposizione, il cibo del futuro diventa puro carburante, da bere da una siringa e contenente di un sorso tutto il nutrimento necessario. Oppure una tortilla ipoallergenica preparata in laboratorio, da accompagnare ad una “vera” sangria a base di cola in una mensa gestita come un ospedale, dove il momento del pasto è vissuto in solitudine, asettico come un’operazione chirurgica, meccanico, senza sapore.
Roberto Flore, chef italiano impegnato nell’associazione no-profit Nordic Food Lab di Copenhagen, porta in tavola un futuro in cui non ci sarà più natura, al posto dello champagne berremo acqua, la più preziosa bevanda della terra, e nei ristoranti verrà servito cibo in provetta circondati da animali impagliati - quelli oramai estinti. “Nel passato, l’uomo è riuscito a sopravvivere alla fame e alla povertà più assoluta - spiega però Roberto - noi speriamo e crediamo che lo sappia fare ancora” e su un vetrino da laboratorio arriva in sala una foglia con una goccia saporitissima di tempeh di piselli gialli, lavorato dopo anni di ricerche non per diventare un nuovo ingrediente gourmet da ristoranti a 3 stelle, ma una fonte proteica adatta a sfamare in modo sostenibile la popolazione. Di oggi, non di domani.
La condivisione ci salverà
La tavola è il luogo della convivialità: facile dirlo quando il cibo abbonda. Nel futuro distopico immaginato dal The Catastrophic Meal vige la legge del più forte. All’aperitivo alcuni fortunati ricevono porzioni più abbondanti di altri, c’è chi si mangia tutto, in pochi condividono con i vicini. Nella portata successiva, mentre i “ricchi” seduti al banchetto di insetti assaporano la propria bisque, le “povere” comparse si accalcano alle loro spalle in cerca di cibo, ma per interi minuti nessuno allunga neppure un boccone di pane verso i bisognosi.
The Catastrophic Meal comincia sembrando una cena-evento, e si conclude insegnando qualcosa in più di un nuovo sapore. L’esperienza gastronomica diventa il pretesto per far scaturire una presa di coscienza sul senso della condivisione, la strada per cambiare il mondo e vivere un presente migliore e un futuro utopico. Kobus van der Merwe del Ristorante Wolfgat in Sud Africa mette in scena una tavolata ricca, con cornucopie di frutta e verdura, birre e piatti vegetariani, dove ci si stringe un po’, si chiacchiera, si divide il cibo al centro del tavolo e si interagisce seguendo le istruzioni dello chef: “Mettere due gocce di condimento nel piatto del vicino a sinistra e sorridere”.