Cesare Battisti, origini trentine ma una vita a Milano, è lo chef del Ratanà, al piano terra della bellissima Fondazione Catella. Fili conduttori del suo percorso in cucina sono la fede nel buono ma anche nel giusto, un amore per i pesci d’acqua dolce - coraggiosamente proposti in anni ancora non sospetti - e un talento per i risotti. Per lui la tradizione è un valore culturale che va costantemente promosso e alimentato.
Rodrigo Oliveira è il proprietario del Mocotò, uno dei ristoranti più acclamati di San Paolo, che gestisce insieme al padre - e fondatore - José Oliveira de Almeida. Il loro motto? Il lusso nella semplicità. I suoi sono piatti potenti e onesti, che esprimono passione e fiducia nei sapori tradizionali, uniti a un prezioso approccio artigianale.
Domenica 12 luglio a Identità Expo hanno presentato una cena a quattro mani. Ha iniziato Oliveira con un Chibé, Couscous amazzone, gamberi, verdure e brodo. Il primo piatto, ovviamente, è spettato a Battisti: Ditalini tiepidi ai peperoni dolci, stracciatella, erbe e insalate, croccante alle acciughe e limoni sotto sale. A seguire un Pesce del giorno, crema di manioca e insalatina di cuore di palma di Oliveira. Il dolce, invece, è stato preparato dal talentuoso pasticcere del Ratnà Luca De Santis: Milano-San Paolo, Cremoso di mascarpone, cioccolato Ivoire e lime con abacaxi allo zenzero e lime, amor polenta, gelato di riso e latte, menta liquida.
Per quale piatto dell'altro prova (un po' di) invidia?
Cesare Battisti: Quando son stato al Mocotò per l'aperitivo mi hanno servito i dadinhos de tapioca, dadini croccanti di tapioca preparati in maniera davvero eccezionale.
Rodrigo Oliveira: Il piatto che piace a Cesare l’abbiamo inventato 10 anni fa, ed è stato un enorme successo: in Brasile è diventato un nuovo piatto tipico, lo servono in vari ristoranti e ormai lo cucinano anche le casalinghe in famiglia.
Il piatto che invidio a Cesare lo scoprirò lunedì perché andrò finalmente a mangiare nel suo ristornante. Sono molto curioso di scoprire i suoi risotti!

Di cosa parliamo quando parliamo di cucina democratica?
Cesare Battisti: opo aver conosciuto Oliveira, in Brasile, ho capito che ci accomuna la stessa visione: trattiamo con grande onestà ingredienti di alta qualità. Scegliamo solo quello che conosciamo. Così mi è successo con il pesce di acqua dolce, un ingrediente che comincia solo adesso ad andare di moda, recuperando la dignità che merita. Oggi nel mio ristorante consumo fino a 70 kg di trota alla settimana.
Rodrigo Oliveira: Seguo il concetto della “inclusive table-inclusive place”. In Brasile ci sono molte, troppe divisioni sociali. Attorno alla mia tavola voglio che ci sia inclusione e non esclusione, condivisione di cibo, tempo e tradizione. Penso di aver raggiunto pienamente l’obiettivo. Abbiamo 100 dipendenti oche formiamo con attenzione e generosità, regalandogli la nostra visione del mondo. Siamo una grande famiglia che cerca di mantenere standard alti con un basso profilo, creando cene straordinarie con ingredienti ordinari, comuni, spesso considerati troppo poveri o difficili da trattare. Tutto in equilibrio sottile ma non precario. Il Brasile ha voluto per lungo tempo una cucina fine dining a prezzi alti, codificando il valore solo in base ai prezzi. Noi questa cultura la stiamo spezzando. Come dice Montanari, la cucina è cultura e la tradizione è l’innovazione che funziona: cerchiamo di rendere leggibile la tradizione e funzioniamo.

Come si fa breccia nel cuore dei propri clienti?
Cesare Battisti: Faccio breccia nei cuori dei miei clienti con la cucina della memoria. Come diceva Teobaldo Cappellano, “la più grande innovazione è la tradizione”- Credo che i cuochi abbiano oggi un’enorme responsabilità: sono i detentori del sapere culinario e hanno il compito di codificarlo e trasmetterlo. Mi ritrovo con clienti commossi dal riconoscere nei miei piatti i sapori della memoria familiare.
Rodrigo Oliveira: Preparo solo le cose nelle quali credo e che amo cucinare, servendole nel modo in cui vorrei essere servito. Abbiamo creato un luogo che noi per primi vorremmo frequentare, parliamo di cose che sappiamo davvero, e per questo la gente si fida di noi.

Qual è il piatto che più la rappresenta?
Cesare Battisti: Preferisco parlare dell’ingrediente che mi rappresenta, il riso, di cui sono Ambassador. Non è solo un’espressione della tradizione culinaria padana, ma soprattutto un alimento nobile e duttile, che si trasforma in pane, farina, dolci, nutre il mondo. Davide Oldani lo definisce una tavolozza bianca e ha ragione.
Rodrigo Oliveira: Il bollito, più un genere di piatto che un piatto. Il cibo da casseruola, come lo chiama mio padre, quel genere di preparazione che ha bisogno di una combinazione di pazienza e sapienza, tradizione e intuizione. La nostra proposta è certamente una “bollito cuisine”.

Dove trovano spazio, in rapporto alla sua cucina, i temi di Expo?
Cesare Battisti: Sono tematiche che ovviamente mi stanno a cuore, e mi guidano nei miei gesti e nelle mie scelte quotidiane. Al Ratanà non entra niente d’industriale: conosco personalmente la provenienza degli ingredienti che tratto, grazie a un’accurata selezione di piccoli coltivatori. È importante restituire loro dignità, onorandone e rispettandone il lavoro. Quando in cucina arrivano dei pomodori, portati da un contadino che porgendoteli ti dice ”Trattali bene che gli ho raccolti stamattina”, il modo di lavorare cambia per forza. Sono anche molto attento agli sprechi: per me non esistono scarti, uso anche le foglie del sedano.
Rodrigo Oliveira: Credo che il timing sia perfetto: è chiaro che abbiamo e avremo ancora problemi, e non sappiamo esattamente cosa far per risolverli, ma almeno abbiamo iniziato a ragionarci su e a prenderne coscienza. Il cibo buono, il cibo sano, il cibo vero, è ormai un bene di lusso, una prerogativa di pochi. Credo davvero che oggi il compito degli chef sia anche quello di ispirare la gente a fare scelte più etiche.