In un’epoca in cui siamo abituati a vedere sui Social Media fotografie di cibo scattate rapidamente, il lavoro di Simona Rizzo va in controtendenza. La fotografa offre una raffinata e accurata rappresentazione della food photography, con chiara aspirazione a grandi maestri del passato, come il pittore Caravaggio.
Abbiamo intervistato Simona Rizzo, chiedendole di parlare delle sue Nature morte. La fotografa ci ha svelato dei dettagli sulla realizzazione del progetto e parlato del suo interesse nei confronti della food photography.
Da dove nasce il tuo interesse per la fotografia di still life e per il food?
Il mio interesse per la fotografia di food nasce a seguito di un’esigenza/volontà semplice: provare a realizzare immagini che fossero in grado di descrivere nel modo più efficace possibile la bontà delle cose che mi trovavo a cucinare e a mangiare nella vita di tutti i giorni.
Diverso invece è stato per la fotografia di still life: il mio interesse per il genere (non solo fotografico) viene da lontano. Credo che risalga a quando per la prima volta a 10 anni rimasi a guardare per ore la Canestra di frutta di Caravaggio. Non capivo per quale strana ragione un semplice cesto di frutta mi scatenasse dentro tanto entusiasmo, al punto da volerlo ripetutamente disegnare. Col passare degli anni ho poi imparato a capire perché.

Come è nata l’idea del progetto e come si è sviluppata?
Inizialmente volevo sperimentare una tecnica di ripresa nuova, quindi incominciai col fotografare oggetti semplici con la tecnica light painting o “luce pennellata. Tale tecnica permette di decidere come, cosa e per quanto illuminare la scena, creando effetti “pittorici” spesso interessanti. Ne sono stata entusiasta sin da subito. Mi è sembrato importante e naturale sfruttare le potenzialità espressive di questa tecnica declinandole a favore di aspetti compositivi che prevedessero la luce (e la non luce) come elemento fondamentale. Nasce così il progetto dei miei still life in luce pittorica.
Nella fotografia o nella vita di tutti i giorni, quali sono state le tue fonti principali di ispirazione?
I grandi pittori di Nature Morte del XVI-XVII secolo, in particolare Caravaggio, per la composizione e per l’organizzazione dello spazio secondo le regole delle proporzioni auree. E Francisco de Zurbarán della Scuola Spagnola del Siglo de oro, per l’uso della luce drammatica e la capacità di rendere in modo perfetto le caratteristiche fisiche dei materiali, il loro colore e la loro consistenza.

Come è nato e come si è sviluppato il processo di selezione degli elementi che costituiscono e compongono l’immagine?
La volontà di riprendere attraverso la fotografia un tema così “antico” come quello della natura morta, è dettata dalla voglia di parlare in realtà di temi universali, rilevanti allora come oggi: la fragilità della vita e dell’amore, la bellezza fugace e il rapido e inevitabile scorrere del tempo - Tempus Fugit. Gli agrumi, i fichi e la dipladenia parlano dei profumi, dei colori della mia terra (il Salento); Pomegranate#1 è in realtà il racconto di un amore finito.
Hai riscontrato difficoltà nella preparazione e realizzazione del progetto?
Non ci sono state delle vere e proprie difficoltà, ma sicuramente ci sono stati scatti che hanno richiesto una preparazione più complessa e lunga. Per esempio, la scelta di includere in alcune scene la presenza di insetti e farfalle ha richiesto l’aiuto di un entomologo.

Consideri il tuo lavoro concluso o pensi che avrà un seguito?
Il mio progetto non è ancora concluso, è tuttora in fase di sviluppo, altre immagini sono state pensate e progettate mediante dei “bozzetti” e verranno presto realizzate.
Pubblicazioni, mostre o progetti futuri riguardanti il cibo?
Sicuramente una delle più importanti collaborazioni in tal senso è in essere con Alidem. Inoltre è da poco partito il progetto per un libro di food-ricette in collaborazione con un importante chef di Torino.

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