Negli ultimi due giorni alcuni dei nomi più importanti nel mondo della cucina si sono riuniti a Galway. Il motivo? Sono stati tutti convinti dallo chef irlandese Jp McMahon, che guida tre ristoranti in città: "Ho mandato circa 200 messaggi al gruppo di chef che vedete qui oggi" ha spiegato al pubblico del primo Food On The Edge. Nonostante fosse l'organizzatore, sembrava sorpreso lui stesso che chef come Daniel Patterson, Elena Arzak, Quique Dacosta, Albert Adrià o David Kinch avessero accettato e viaggiato fino a una città di 75.000 abitanti che può vantare una sola stella Michelin.
Una prova di ciò di cui abbiamo già parlato: gli chef hanno accettato il ruolo di persone che possono cambiare il sistema alimentare, la responsabilità sociale e il conseguente spostarsi anche di migliaia di chilometri per trasmettere quelli che secondo loro sono messaggi importanti.
A Food On The Edge ogni chef ha avuto la possibilità di parlare per 15 minuti, Un quarto d'ora in cui comunicare le loro idee, i loro timori, i loro sogni, le loro speranze. Gli argomenti trattati spaziavano dal cibo per neonati all'allattamento al coinvolgimento degli chef nell'assistenza medica, ma due in particolare erano i macro-temi che continuavano a tornare: responsabilità e sostenibilità.
MENO TEMPO, MA MIGLIORE
Il vincitore del S.Pellegrino Young Chef 2015, Mark Moriarty, ha parlato di come - contrariamente a quanto si crede - in questo momento ci sia una carenza di chef nei ristoranti: molti giovani si scoraggiano per le lunghe ore di lavoro, la durezza dell'ambiente, lo stress, la mancanza di stabilità finanziaria. Chi li assume dovrebbe impegnarsi a migliorare le loro condizioni di lavoro, richiedendo in cambio passione, dedizione e due anni obbligatori di contratto.
Dello stesso problema ha parlato Mikael Jonsson: la piccola cucina del suo Hedone, a Londra, ha visto oltre 100 chef andare e venire negli ultimi anni. Il motivo per cui ora fa solo sei servizi a settimana, cercando di creare migliori condizioni e mantenere più a lungo lo stesso staff. Ed è sempre questa la ragione per cui il Sat Bains, a Nottingham, è passato a soli quattro giorni di servizio la settimana.
IN TEMA DI EXPO
Nel suo Chef & Sommelier a Helsinki lo chef finlandese Sasu Lakkunonen sta cercando di raggiungere l'obiettivo spreco zero, ma vorrebbe anche cominciare un progetto di educazione gastronomica in cui gli chef lavorino nelle fattorie e i contadini nelle cucine.
Matt Orlando dal ristorante Amass a Copenaghen, invece, ha parlato di un ipotetico futuro in cui i ristoranti pagheranno tasse in base alla quantità di cibo che sprecano. Secondo lui sempre più attività in futuro cercheranno di essere tassate in base a diversi criteri: quanto lontano comprano gli ingredienti, quanta energia consumano, quanti posti a sedere hanno.
Nathan Outlaw e Albert Adria, invece, nei loro due interventi si sono soffermati sul mare. Se non ci muoviamo per cambiare le cose, tra non molto tempo non ci sarà più niente di edibile negli oceani. Outlaw, che guida due ristoranti di pesce nel Regno Unito, ha sollevato un argomento interessante: dovremmo chiederci non solo se servire pesce pescato negli oceani sarà sostenibile anche in futuro, ma anche quanto arriverà a pagare il cliente se gli stock ittici continuano a diminuire. Una possibile soluzione, forse, è interfacciarsi con realtà di pesca piccole.