È un progetto ambizioso, che darebbe ulteriore lustro al nostro preziosissimo tesoro gastronomico: la cucina italiana si candida a diventare Patrimonio immateriale dell’Unesco. Un titolo che rappresenterebbe un grande riconoscimento storico-culturale, ma anche un’opportunità di slancio per tutto il mondo che ruota attorno al cibo e alla tradizione made in Italy.
Il progetto di candidatura è stato avviato a luglio 2020 su iniziativa di Maddalena Fossati, direttore de La cucina italiana, in collaborazione con le agenzie SpoonGroup e BIA, e con il sostegno e il supporto dell’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale del MiBACT e dell’ANCI.
La cucina italiana candidata a Patrimonio immateriale Unesco: il comitato scientifico
Domani, 28 gennaio 2021, si riunirà per la prima volta il comitato scientifico che sosterrà la candidatura e ne redigerà il relativo dossier, necessario per portare avanti la pratica.
Il comitato è costituito da importanti figure di esperti e accademici, che, attraverso diverse prospettive di analisi, daranno il proprio contributo, per la realizzazione del dossier di candidatura.
Il comitato è costituito da: Roberta Garibaldi, docente di Tourism Management, Presidente Associazione Italiana Turismo Enogastronomico; Luisa Bocchietto, architetto, Senator della World Design Organization; Alberto Capatti, storico dell’alimentazione e della Gastronomia italiana, membro del Comitato direttivo dell’Institut Européen d’Histoire de l’Alimentation; Maddalena Fossati, direttore de La cucina italiana; Giovanna Frosini, docente di Storia della lingua italiana, Accademica della Crusca, Coordinatrice in Linguistica storica, Linguistica educativa e Italianistica; Massimo Montanari, docente di Storia Medievale e Storia dell’alimentazione all’Università di Bologna; Paolo Petroni, presidente dell’Accademia Italiana della Cucina; Vincenzo Santorio, responsabile del Dipartimento di Cultura e Turismo dell’Associazione Italiana dei Comuni Italiani; Luca Serianni, docente di Storia della lingua italiana dell’Università La Sapienza, coordinatore del comitato che organizza il Museo della Lingua Italiana di Firenze; Laila Tentoni, presidentessa di Casa Artusi; Vito Teti, antropologo e scrittore, direttore del Centro Demo-Antropologico Raffaele Lombardi Satriani dell’Università della Calabria, membro del Comitato Italiano di Antropologia dell’Alimentazione.
Beni gastronomici italiani e Unesco: i titoli che abbiamo già conquistato
Non è la prima volta che il Belpaese si confronta con l’Unesco. Nel corso degli anni scorsi, infatti, l’Italia ha già portato a casa importanti riconoscimenti. Abbiamo fatto il punto, con l’aiuto di Roberta Garibaldi, esperta di turismo enogastronomico e membro del comitato scientifico che sosterrà la candidatura della cucina italiana ed elaborerà il dossier.
Prima, però, le abbiamo chiesto quante possibilità ci sono affinché la candidatura della cucina italiana venga accettata dall’Unesco, conquistando il prestigioso titolo. “Credo che abbia ottime potenzialità, e spero che si arrivi a elaborare un progetto sistemico che lasci emergere la ricchezza straordinaria del nostro Paese, per fare leva su diversi punti di vista, che abbraccino tutte le sfaccettature del sapere umano legato al cibo, dalla storia all’antropologia, dalla linguistica al turismo”, risponde.
Da domani, dunque, prenderà il via un importante lavoro collegiale, che potrebbe portare a un’incoronazione che assumerebbe un significato simbolico, di rilancio e rinascita del settore. “Ritengo che attraverso questo progetto potremmo valorizzare l’enogastronomia per farne un motore di ripartenza in un momento così importante. E lo faremo partendo dai nostri prodotti, dalle nostre ricette, così come dalle storie dei nostri produttori, dalle tradizioni locali e dai paesaggi che diventano enogastronomici in un’ottica di integrazione tra innovazione, sostenibilità e rispetto delle tradizioni”, aggiunge Garibaldi.
Ma, dicevamo, non sarebbe la prima volta che i beni italiani legati al cibo vengono iscritti nella lista Unesco. Ricordiamo, infatti, la “Dieta mediterranea”, inserita come Patrimonio immateriale nel 2013. E ancora, l'elenco si è ampliato con la “Coltivazione della vite ad alberello di Pantelleria” nel 2014 e con “L'Arte del pizzaiuolo napoletano” nel 2017.
Tra i beni materiali, invece, ecco i “Paesaggi vitivinicoli del Piemonte: Langhe-Roero e Monferrato” (2014) e le “Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene”, entrate nel 2019.
Beni che, come ricorda Garibaldi, “sono considerati al pari della Costiera Amalfitana, delle 5 Terre, del Cilento e Vallo di Diano, dei Sacri Monti, della Val d’Orcia, delle Ville e dei Giardini Medicei, iscritti nella Lista del Patrimonio Mondiale come paesaggio culturale, poiché capaci di testimoniare l’unicità e la positiva interazione tra uomo e ambiente, nel caso specifico attraverso la viticoltura”.
Sempre in Italia, poi, ci sono tre delle sei città che vantano il titolo di “Creative city per la Gastronomia”: Parma nel 2015, Alba nel 2017 e, new entry del 2019, Bergamo, “che ha conquistato il titolo grazie al suo patrimonio gastronomico ricco di prodotti tradizionali, tra cui spiccano i formaggi, che rappresentano un saldo legame fra la città e le valli”, precisa Garibaldi.
I beni legati al cibo iscritti alla lista Unesco nel resto d’Europa
Cosa succede fuori dai confini italiani? In Europa, al momento, sono 29 i beni tutelati e legati all’enogastronomia (di cui 13 materiali e 16 immateriali). “Le prime candidature risalgono alla fine degli anni Settanta - spiega Garibaldi - con il riconoscimento delle miniere di sale di Wieliczka e Bochnia (Polonia). Tra gli anni Ottanta e i primi anni Duemila sono state incluse le saline francesi di Salins-les-Bains e Arc-et-Senans (1982), la regione vitivinicola portoghese dell’Alto Douro (1989), il paesaggio della cultura vinicola dell'isola di Pico in Portogallo (1996), la regione vitivinicola ungherese del Tokaj (2002) e i vigneti terrazzati del Lavaux in Svizzera (2007)”..
Ma è nell’ultimo decennio che l’elenco si è allungato, con una particolare attenzione e volontà di tutelare in particolar modo la cultura enogastronomica locale. “Fuori Italia, si sono aggiunti i paesaggi agricoli di Causses e Cévennes (Francia) e di Kujataa (Danimarca), i territori vitivinicoli francesi dello Champagne e della Borgogna”, ricorda Garibaldi. Per quanto riguarda i beni immateriali, l’elenco è molto più ampio e include la cultura brassicola belga, il caffè turco, il pasto gastronomico dei francesi e le tecniche artigianali di produzione del lime di Morón de la Frontera in Spagna.
Ora non ci resta che augurare buon lavoro alla commissione scientifica e sperare in un nuovo, importante, traguardo per la cucina italiana.