Complice anzitutto la notorietà della cucina nipponica, il sakè è un trend sempre più diffuso anche in Italia, infatti a Milano e a Firenze sono nati i primi sakè bar, dove sperimentare nuovi modi di servirlo anche nei cocktail. Caldo o freddo, da degustare al posto del vino o miscelato, a fine pasto o durante la cena, è un universo tutto da scoprire. Non si tratta di un distillato, ma di una bevanda alcolica che costituisce una categoria a parte, chiamato anche “vino di riso”, è ottenuto dalla fermentazione di riso, acqua e spore koji e la sua gradazione alcolica varia in media tra i 15 e i 18 gradi.
Da un errore…un nome
Singolare che la bevanda abbia fatto il suo debutto nel mondo con un nome che non è il suo; in giapponese, infatti, sakè significa semplicemente “alcool”, mentre per indicare quello che noi occidentali chiamiamo sakè, gli abitanti del Sol Levante lo definiscono nihonshu.
12.000 anni di storia del sakè. Le prime testimonianze di questa bevanda si trovano in un antico documento scritto nel 300 a. C., il Gishiwajiden. Il sakè è prodotto in tutte le 47 prefetture del Giappone e le case di produzione, chiamate sakagura, sono oggi circa 1200. La produzione inizia ad ottobre con la raccolta del riso e finisce a marzo.
Le diverse temperature di servizio
Il sakè si beve a varie temperature: fresco, a temperatura ambiente o caldo. Quando è servito caldo a una temperatura di 30-35 gradi la fragranza si fa più intensa, mentre a 40-55 gradi aumentano invece la percezione dell’alcool. Inoltre da caldo si sposa bene con cibi grassi di cui ne riduce l’oleosità. Il sakè freddo, invece, è una conquista recente, che ha avuto il suo inizio negli anni ‘60. Il sakè bevuto a basse temperature è molto bilanciato e si presenta nella sua completezza. La temperatura di servizio varia tra i 5 e i 15 gradi.