A Roma, accanto a piazza Navona, lo chef Angelo Troiani e i suoi fratelli Massimo e Giuseppe gestiscono con successo Il Convivio Troiani, ristorante stellato che racconta la tradizione con la giusta dose di estro creativo.
Nato nel 1990, dal 1998 il ristorante si trova in vicolo dei Soldati 31, in uno spazio ricco di fascino diviso in tre eleganti sale di un palazzo storico.
È qui che il giovane Daniele Lippi ha iniziato al sua carriera come stagista e, con il tempo, è arrivato a ricoprire il ruolo di sous chef. Noi l'abbiamo incontrato per parlare della sua cucina e dei suoi sogni. L'intervista di Fine Dining Lovers a Daniele Lippi.
Com'è iniziato il suo percorso in cucina?
Dopo la scuola di cucina del Gambero Rosso ho fatto il mio primo stage proprio presso Il Convivio Troiani. Da lì è iniziato tutto.
Quindi da stagista a sous chef, qual è stato il momento di maggiore crescita all'interno del ristorante?
Quando Angelo Troiani mi ha promosso come sous chef, è stata una conferma della qualità del percorso svolto. Ho avuto per la prima volta in mano un’intera brigata, nonché la possibilità di creare e interpretare i miei piatti.
Che ricordi ha dei primi periodi a Il Convivio Troiani?
Ricordo perfettamente, ero pieno di aspettative e di ambizione. Ho iniziato molto giovane e trovarmi da subito immerso in una realtà stellata era praticamente un sogno. Ero in cucina tutti i giorni, quanto più tempo possibile, anche con 40 di febbre.
Quale ritiene sia stato il maggior insegnamento dello chef Angelo Troiani?
È un maestro generoso, mi ha insegnato tutto quello che sapeva, dal punto di vista tecnico e dal punto di vista umano. Ciò che so su come mandare avanti una cucina prestigiosa l'ho imparato da lui.
Cosa le ha invece trasmesso il resto della famiglia Troiani?
Se Angelo mi ha insegnato a portare avanti la tradizione ai fornelli, che oggi passa anche dall’interpretazione e dalla creatività personale, dai fratelli Troiani ho imparato a muovermi e ad essere responsabile di una realtà stellata. Gli aspetti sono molteplici anche fuori dalla cucina.
Come definirebbe la sua cucina?
Con tre vocaboli: sorpresa, innovazione, freschezza.
Come si pone rispetto alla tematica del km 0 e della stagionalità?
La stagionalità deve essere un must per ogni chef che si rispetti. Il km zero anche. Però è chiaro che spesso mi trovo a voler utilizzare un ingrediente particolare proveniente da un’altra regione, che magari può dare uno slancio in più al mio piatto, e allora il modus non può che essere quello di ricercare il meglio di ciò che la tradizione italiana ha da offrirmi.
C’è un ingrediente o un piatto che la rappresentano più di altri?
Il topinambur... come un carciofo. È un mio signature dish in cui il topinambur viene trattato e cucinato come un carciofo, fino alla frittura e poi alla presentazione nel piatto, in cui i petali del carciofo sono in realtà sfoglie della radice. È il simbolo di quello che cerco in un piatto: la sorpresa e la trasformazione, il rinnovamento degli ingredienti. Una radice, qualcosa che sta sottoterra, al buio, viene portata alla luce, valorizzata: le viene donata la delicatezza di un fiore.
Qual è il primo consiglio che darebbe ad un giovane che vuole fare il suo stesso lavoro?
Alimentare sempre l’energia e la motivazione che ti spingono a voler diventare chef, anche quando le cose si fanno difficili. Se credi in quello che fai, col duro lavoro e la dedizione i risultati verranno da sé.
È quindi la fatica l’aspetto più difficoltoso della professione di chef?
Sì, la fatica, gli orari, spesso la stanchezza, che non passa mai. Ma, ripeto, sono cose che fanno parte del mondo della cucina. Se alla base c'è la passione, la ferma volontà di proporre una cucina creativa, salutare e innovativa, tutti gli sforzi verranno ripagati.
Sous chef di un ristorante stellato e poi? Cosa vede come suo prossimo step di crescita?
La crescita è stata notevole e relativamente rapida, certamente mi piacerebbe poter gestire una mia cucina da chef...