Ci vuole coraggio per prendere in mano un ristorante con 50 anni di storia alle spalle. Ce ne vuole ancora di più per farlo diventare un luogo di sperimentazione e creatività, rivoluzionandone l'immagine e la cucina.
E di coraggio ne ha sicuramente Daniele Patti, che cinque anni fa ha rilevato Lo Scudiero, storico locale di Pesaro, ed è riuscito a trasformarlo in una delle mete gastronomiche più interessanti della regione, frequentata sia da turisti che da locali.
Com'è cominciata la sua strada in cucina?
Quando avevo 12 anni mi sono traferito da Messina a Pesaro. Ero sempre stata appassionata di cucina, quindi mi sono iscritto all'alberghiero e ho fatto le prime esperienze in Riviera Romagnola. Quello che mi ha veramente cambiato la prospettiva è stato uno stage da Gualtiero Marchesi all'Albereta di Erbusco.
Che cosa le ha insegnato quel periodo?
Stare così lontano da casa, in una brigata tanto dura, ti spinge a crescere e a sacrificarti. Ho imparato a essere preciso, puntuale e ordinato e ho sviluppato tutte le tecniche base. Ma soprattutto ho capito che la cucina non era solo quella turistica a cui ero abituato, tutto spiedini e piadine!
Cosa ha fatto dopo?
Non ero ancora pronto ad avere un mio ristorante e ho fatto un altro stage da Uliassi. Lì mi si è aperto tutto un altro mondo, una "alta cucina rock 'n roll". Tutta un'altra proiezione di cucina: materia prima e innovazione. Da lì ha iniziato a formarsi il mio stile. Ho lavorato in un'azienda di ricerca e sviluppo e appena ho messo abbastanza soldi da parte, cinque anni fa, ho aperto il mio ristorante.
Ci racconta dello Scudiero?
Lo Scudiero ha aperto nel 1964, è stata la prima stella delle Marche, aveva la miglior cantina d'Italia dopo il San Domenico. Sentivo un grande peso sulle spalle nel riaprirlo. All'inizio avevo paura, poi gradualmente ho iniziato a proporre la "mia" cucina e ora spingiamo sull'acceleratore. Ho fatto rinascere un simbolo. Da un anno abbiamo aperto una gastronomia, una sorta di "Piccolo Peck", uno spazio aperto dalla colazione all'aperitivo.
Come descriverebbe la sua cucina?
Un mix di ricordi della nonna, tecniche contemporanee e ingredienti adriatici. Al momento alcuni dei piatti di cui vado più fiero sono Gambero rosso dell'Argentario, scalogno candito e granita di mojito; Gli scampi che amò Rossini con foie gras, caviale, panna acida; Spaghettone Verrigni tutto seppia; Pasta e fagioli di mare affumicata nel Lapsang Souchong.
Le manca non poter più fare esperienze in giro per l'Italia o per il mondo?
Vorrei passare un periodo, anche breve, da Michel Bras e in Giappone. E cerco di mandare spesso i miei ragazzi in giro a "cacciare il naso". Stare allo Scudiero è un impegno totale ma mi piace: all'una di notte non vedo l'ora che sia mattina per andare a lavorare.