Una nuova scena siciliana: non solo nomi celebri come Ciccio Sultano, Vincenzo Candiano e Pino Cuttaia; l'alta cucina sicula gode di piena salute, soprattutto grazie a una generazione che sta piano piano facendo parlare di sè. Bisogna andare fino a Ragusa per incontrare uno dei giovani chef più promettenti della regione: Dario Di Liberto, chef e patron di Tocco-Sicilian Ways. Nel suo curriculum Accursio Craparo, Ciccio Sultano e Sergio Mei, tutti chef e maestri che in modo diverso lo hanno aiutato a crescere professionalmente.
Nella sua cucina, come ci racconterà qualche riga più sotto, c'è tanta Sicilia reinterpretata e alleggerita: basti guardare il suo Arancino Nero, piatto must se si visita il ristorante dello chef. E sulla scena ristorativa siciliana, recentemente molto premiata dalle guide come la Michelin 2015, cosa pensa un giovane di neanche 30 anni? "Stiamo lavorando bene, e noi giovani chef stiamo facendo squadra".
Questo e molto altro nell'intervista a Dario Di Liberto qui sotto:
Che tipo di cucina si trova nel suo ristorante?
La nostra è una cucina del territorio, ma moderna, pulita ma essenziale; direi che è una cucina di carattere. Puntiamo molto alla valorizzazione di ogni singolo ingrediente esaltandolo al massimo, proponendo sia piatti con abbinamenti classici, che più creativi. Per capire a cosa mi sto riferendo basta assaggiare il mio Arancino Nero con Ragù di Salsiccia con Nero di Seppia, un vero omaggio alla Sicilia, all'interno del piatto c'è la tradizione siciliana, come l'accostamento salssiccia e senape selvatica, fra maiale e seppie. L'insieme rappresenta il Vulcano, questo manto nero del vulcano e dentro la lava, rappresentata dal ragù.
Ristorazione al Sud, soprattutto in Sicilia; qual è la situazione attualmente secondo lei?
Ultimamente è bello vedere tutti questi riconoscimenti, guarda la
Il piatto della tradizione italiana che le piacerebbe modificare dopo l'arancino?
Nel mio ristorante è una pratica comune, quella di trasformare i piatti della tridizione, correggendo magari gli errori che si facevano un tempo. Basti pensare alla caponata siciliana, piatto buonissimo, abbastanza importante che non è facile da digerire; usando delle tecniche più adeguate si rende il piatto più leggero ed elegante.
Ha lavorato con grandi chef come Craparo e Sultano: quale insegnamento si porta dietro?
Tutti mi hanno lasciato qualcosa e ho cercato di prendere quello che potevo dal loro stile e dalla loro filosofia. All'età di 19 anni ho incontrato Accursio Craparo; è stata la mia prima esperienza di alto livello, e con lui c'è stata questa scoperta della valorizzazione del singolo ingrediente. Ciccio Sultano, invece, è quello più verace, il siciliano vero in cucina, la cucina barocca; Sergio Mei è un libro aperto, conosce ogni aspetto della tradizione italiana. Lui è stato anche un grande maestro di vita, a 360 gradi.
Cosa fa un giovane chef quando non è in cucina?
Difficile trovare del tempo libero, ho avuto l'opportunità due anni fa di prendere in gestione un hotel di 54 camere, e sono sempre impegnato; i giorni liberi sono pochi, quando riusciamo ad avere un po' di tempo ci piace riunirci con gli altri colleghi e fare eventi, feste in cui ci confrontiamo. Come dicevo prima c'è questa unione che ci aiuta a crescere.
E se avesse la possibilità di fare un lungo viaggio enogastronomico?
Mi affascina l'Oriente; mi piace il loro rispetto per le verdure, le cotture, per la pulizia e l'essenzialità. Un giorno mi picerebbe fare un giro in Giappone o in Corea.
Lo chef che secondo lei rappresenta in questo momento l'Italia?
A modo loro tutti i grandi chef rappresentano il nostro paese, e le loro differenze regionali.
Un ristorante che l'ha colpita ultimamente.
Maetamorfosi di Roy Caceres: mi ha colpito soprattutto l'idea di cucina che si avvicina molto alla mia, essenziale pulita ma con sapori netti e precisi. Mi piace inoltre molto la sua cucina italiana contaminata dalle sue origini sudamericane.