A Roma, lungo via Nomentana, al civico 926, c'è un ristorante che definirlo tale è un po' riduttivo. Voia - Art Gallery affianca infatti alla sua cucina raffinata anche l'attività di galleria d'arte ed un bar in cui sperimentazione e qualitù sono di casa.
Ad occuparsene è Dario Gioco, che della mixology è un vero esperto. Ecco cos'ha raccontato dei suoi esordi e del suo lavoro a Fine Dining Lovers.
Com’è nata la sua passione per il mondo della mixology?
Forse non c'è un preciso momento, lavoro nel mondo della ristorazione e dell'ospitalità da quando ho sedici anni. Potrei dire che all'incirca cinque anni fa, grazie all'incoraggiamento di Carlo, un amico che per me p stato anche un maestro, ho capito che il settore della mixology era quello che più mi piaceva e mi faceva andare ogni giorno felice sul posto di lavoro. Inoltre, in generale, sono sempre stato portato alle pubbliche relazioni: a scuola, per esempio, preferivo occuparmi delle problematiche degli studenti invece di stare seduto al mio banco.
Tra le sue tante esperienze da bartender, quali sono quelle che ritiene l'abbiano maggiormente formata e perché?
Ho cercato di trarre il meglio da tutte le mie esperienze, ogni posto di lavoro ha clienti, servizio e idee molto diverse tra loro. Imparare a gestirle significa poterle far tornare utili all'accorrenza. Devo dire che il mio lavoro attuale da Voia - Art Gallery a Roma, grazie ad una condivisione costante con il team della cucina e all'utilizzo delle erbe dell'orto botanico, mi sta insegnando davvero tantissimo.
Quando è arrivato precisamente da Voia - Art Gallery?
Nel maggio del 2018, per poi aprire il locale a novembre 2018. Ricordo che furono momenti di grande lavoro: mesi di attesa e preparazione, volevamo che tutto fosse al massimo per l'apertura e ci riuscimmo.
Come ha realizzato la carta cocktail per questo posto?
Sono partito dai principi base di Voia - Art Gallery: l'arte, la biosostenibilità e la cucina. Per il primo anno, ad esempio, abbiamo realizzato una tela disegnata a mano pagina per pagina, su cui si è alternata una cocktail list che cambiava stagionalmente, al fine di valorizzare al meglio la produzione del nostro orto e gli ingredienti utilizzati in cucina che più mi incuriosivano.
Dai suoi esordi, ritiene ci sia stata un’evoluzione nel mondo della mixology e nella sua percezione da parte della clientela?
Assolutamente sì, stiamo vivendo nella nuova golden age della miscelazione così come della cucina. Si stanno raggiungendo dei picchi altissimi e certe realtà eccellenti fanno da traino: anche il livello medio si è alzato notevolmente. Questa tendenza si riflette anche nella clientela, che è sempre più disposta a provare novità o a capire la differenza tra un classico fatto bene e un long drink da discoteca.
Quali sono gli ingredienti che preferisce utilizzare?
Su tutti sicuramente il gin come distillato. E poi le erbe aromatiche, specialmente quelle del nostro orto, per creare nuovi ingredienti home made come sciroppi, tinture, profumi.
C’è qualcuno che più di altri considera un maestro?
Oltre all'amico già menzionato, sicuramente direi anche Jordy di Leone e Daniele Gentili, entrambi per motivi diversi, entrambi molto importanti per la mia crescita professionale.
Un tuoi signature cocktail di cui vai particolarmente fiero?
Due su tutti: lo Spring Time, a base di gin, una tintura floreale creata da noi microdistillando lavanda e tiglio, sciroppo di fragole, rosa e champagne, limone, profumo balsamico; il Sottobosco, a base di brandy, infuso ai funghi porcini, assenzio al cioccolato fondente, rye whiskey alle castagne e liquore di pino.