Tra le esperienze di Davide Pezzuto, quella come sous chef del ristorante tristellato La Pergola a Roma, al fianco di Heinz Beck.
Poi il fortunato incontro con l'imprenditrice Nuccia De Angelis e la nascita del suo ristorante D.One, a Montepagano, incantevole borgo abruzzese, frazione di Roseto degli Abruzzi. Lo chef riesce a portare una stella anche qui, in quello che viene definito "ristorante diffuso".
Noi l'abbiamo incontrato per chiedergli del suo percorso ai fornelli e del suo lavoro.
La nostra intervista a Davide Pezzuto.
Com'è iniziato il suo percorso in cucina?
Ho sempre adorato mangiare e cucinare ma il mio percorso in cucina è cominciato per necessità, per ripiego a 16 anni. Forse sarò l’unico chef al mondo a non aver desiderato di lavorare in cucina già da bambino... negli anni della mia adolescenza e nel territorio da cui provengo, togliersi dalla strada e lavorare onestamente era già una grande fortuna. La cucina mi ha dato un’opportunità. Dico sempre che è stato questo lavoro a scegliere me. Mi hanno sempre detto che ero portato per la cucina ed io ho solo seguito il mio destino. Dopo 22 anni di carriera, non riuscirei ancora a dire che la cucina è la mia passione, sarebbe riduttivo: è diventata la mia missione.
Quale ritiene sia stato il vero “salto” nella sua carriera?
Ho cominciato con le stagioni in riviera romagnola l’estate e alle Dolomiti l’inverno. Una volta capito che la cucina era la mia vita, ho deciso di affrontarla al meglio. Così, ho preferito perdere i soldi e la sicurezza di un lavoro stagionale, per pochi extra in un hotel 5 stelle. Dopo quell’inverno ero senza un euro in tasca, ma con la consapevolezza di aver portato a casa un investimento a lungo termine. Non ho più inviato un curriculum, ho iniziato a passare di volta in volta in cucine sempre più importanti.
Quando ha sentito la necessità di lavorare ad un progetto personale?
Nel 2011 ero considerato uno dei sous chef tristellati più promettenti, alla corte di Heinz Beck. Venni mandato a gestire la cucina del complesso balneare di Les Paillotes, a Pescara, con una stella da riconfermare. Fu il mio primo approccio con l'Abruzzo e fu subito amore. La mia cucina e la gestione erano molto apprezzate, ma la parte commerciale surclassava di gran lunga quella creativa, mi sentivo incompiuto. Lasciai dopo due anni. Volevo qualcosa di più coinvolgente, qualcosa che prendesse il mio cuore, ma soprattutto, che stimolasse il mio estro creativo.
È a quel punto che è nato il D.One di Montepagano?
Quasi. Dopo otto mesi sabbatici ho incontrato l’imprenditrice Nuccia De Angelis, con cui si è instaurato subito un ottimo feeling. Inizialmente ero titubante, poi, complice la vista di questa bella campagna, mi sono ricreduto. Lo splendore del borgo e la centralità che veniva attribuita alla mia figura mi hanno convito. Anche il nome D.One si riferisce in parte a me: DavidOne è il nomignolo che mi avevano dato gli amici. Il significato D.One, però, è legato anche alla comunicazione dei nostri principi: DiffusiOne, DelocaziOne, DivagaziOne, DegustaziOne.
Cosa intende esattamente con "ristorante diffuso"?
Siamo riusciti a trasformare in pregi quelli che inizialmente erano limiti del ristorante, che, in una sola struttura, non riusciva ad avere tutti gli spazi di cui necessitava. Abbiamo così sviluppato il D.One in quattro diversi civici di via del Borgo. A 10 metri c'è la cantina, poi una saletta con camino e le prime due suite verso la discesa Sant'Antonio. Si prosegue poi con un dehors ed altre suite ancora, sparse nel borgo nel raggio di 100 metri circa. Insomma, abbiamo fatto di necessità virtù: una formula perfetta per la ristorazione in un borgo medievale. Quest’anno si inaugura anche il Pagus, una sala ricevimenti storica completamente ristrutturata, con una vista mozzafiato sul mare.
Come descriverebbe la sua filosofia ai fornelli?
Nel menu del D.One ho vuluto che ci fosse scritta questa frase: “L’ingrediente principale della cucina gourmet è la semplicità”. L’esasperata manipolazione non fa parte della mia visione di cucina. Valorizzare gli ingredienti ricercati che compongono questo menu è parte della mia missione. Per me la tecnica più efficace è quella che esalta un prodotto, eliminando il superfluo. Ai fornelli, presente, passato e innovazione si fondono per dare vita alla mia “cucina rurale”.
Lei è salentino, le sue origini hanno in qualche modo influenzato questa cucina genuina?
Inevitabilmente e fortunatamente si. Ricci, burrata e grano arso non possono mancare nella mia cucina. Rispetto immensamente anche l’Abruzzo e la provincia di Teramo, dove opero: da qui provengono la maggior parte degli ingredienti e delle ispirazioni. La mia cucina ha subito una grande evoluzione, ispirata appunto alla collina in cui è ubicato il borgo.
Un piatto che la rappresenta più di altri?
Sono come un genitore, per me l'ultimo nato è quello che finisce con l'avere più attenzioni, pur sapendo di amare tutti i figli allo stesso modo. Diciamo che il Fagottello liquido al cacio marcetto e kumquat è il piatto che amo di più al momento.
C’è qualcuno che considera il suo maestro?
Tutti gli chef con cui ho lavorato. Non solo: anche le tante persone che mi hanno emozionato a tavola, oppure con un semplice street food, oltre a quelli che mi hanno ispirato in qualche modo, pur non avendo nulla a che fare con la cucina. E poi i miei clienti: sono sempre i loro feed back a confermare le mie scelte.
Quale consiglio darebbe ad un giovane che vuole intraprendere il suo percorso?
Siate imprenditori di voi stessi. Inquadrate un obiettivo, segnate il percorso e dividetelo in tappe. Do ut des: donate il vostro tempo, il vostro contributo, la vostra professionalità e serietà in cambio dell'esperienza di chi ne sa più di voi. Nessun ricettario potrà mai insegnarvi l’immensità di questo lavoro, non abbiate fretta. Se non siete voi i primi ad investire su voi stessi, chi lo farà mai?