Togliere, togliere, togliere per tornare all'essenza del gusto. Sembra un mantra quello di Domingo Schingaro, nuova e giovane stella pugliese al Due Camini di Borgo Egnazia, a Savelletri in provincia di Brindisi.
Il punto di partenza della sua cucina sono gli ingredienti – si serve da più di 50 piccoli produttori selezionati – che vuole far emergere nel piatto nella loro pura semplicità.
Due Camini, Savelletri
Dopo dieci anni in Piemonte ai Due Buoi, dove ha affiancato negli ultimi anni lo chef Andrea Ribaldone con cui ha conquistato la stella, e 6 durissimi mesi nel ristorante di Identità Expo, nel 2016 ha deciso di tornare a casa per creare una nuova cucina pugliese essenziale.
I ricordi dei piatti tradizionali pugliesi non mancano, dagli gnumareddi alle orecchiette alle cime di rapa, ma vengono ripensati con tecniche di cottura che ne alleggeriscono il gusto e riportano il focus sul singolo ingrediente.
Conosciamo meglio lo chef Domingo Schingaro in quest’intervista per Fine Dining Lovers.
Borgo Egnazia
Può toglierci subito una curiosità? Il suo nome è Domenico e lei è 100% pugliese, ma tutti la chiamano Domingo. Perché?
Mia mamma è stata “obbligata” a chiamarmi Domenico, perché era il nome della nonna paterna, Domenica: al sud si usava ancora così. Ma lei - una donna bellissima dai lunghi capelli rossi e i modi gitani - pur rispettando le tradizioni, si è “ribellata” indirettamente e, fin da piccolo, mi ha sempre chiamato Domingo. Anche in omaggio a Placido Domigo, che le piaceva tanto e che ascoltava spesso.
Chi le ha insegnato a cucinare?
Proprio lei, mia mamma Rosa. Non ho tanto un ricordo di un piatto impresso nella memoria, ma più l’immagine dei suoi movimenti velocissimi e precisi. Non ho più visto nessuno riuscire a preparare un intero menu in un’ora soltanto. Mio papà era pescatore e tornava a casa, stanchissimo, alle 4 del mattino, con ciò che non aveva venduto al porto. Con quei pesci e le loro frattaglie mia madre faceva meraviglie in un batter d’occhio.
Infatti la sua cucina ha avuto per molti anni protagonista il pesce…
Sì, uno dei piatti che richiama la mia infanzia è un fusillo mantecato con la sacca del polipo, cioè le sue interiora. La mamma la friggeva e la metteva nella pasta, io, invece, la cuocio sottovuoto aromatizzata con olio, aglio, timo, limone e la uso per insaporire i fusilli. La parte vegetale fresca del piatto è data dalle taccole e dalle fave fresche.
Ha lavorato per 10 anni ai Due Buoi, di cui 3 a fianco di Andrea Ribaldone, con cui ha conquistato la stella. Qual è il piatto che non dimenticherà mai?
Sicuramenti i Ravioli del plin sul ghiaccio. Questi ravioli - pasta all’uovo sottilissima ripiena di stufato di fassona – solitamente vengono serviti in brodo o sul tovagliolo, senza nessun condimento, in modo che la pasta si asciughi leggermente e chi mangia possa sentire al meglio il sapore della carne. Per dare la stessa sensazione di purezza del gusto e creare un contrasto di temperature, noi li servivamo sul ghiaccio.
La sua cucina “ripensa la tradizione pugliese con tecniche di alta cucina”. Ci può fare un esempio pratico?
Certo, gli gnumareddi. Si tratta di involtini di interiore che di solito vengono cotti alla brace e quindi risultano molto secchi. Io li faccio preparare da un macellaio locale, li cuocio sottovuoto per 2 ore con olio, rosmarino e salvia, perché restino morbidi e li spadello a fuoco alto per poco tempo per riportare l’idea di croccantezza della brace. Li servo con aceto per sgrassare e una crema di cicoriella selvatica cruda.
E i dolci?
Sono un mondo a sé stante. Ai Due Camini non esiste la carta dei dessert, ma un box di 9 ingredienti. Ci può essere all’interno frutta fresca e secca, erbe aromatiche, cioccolato o qualsiasi altro sapore. Il cliente sceglie 3 ingredienti e con essi il pasticciere crea i dolci su misura per il tavolo, tutti diversi e personalizzati. In pratica, ogni commensale avrà la sua “limited edition”.
Che nuova impronta vuole dare alla sua cucina nel 2019?
Voglio creare i piatti partendo dalla parte vegetale per valorizzarla al massimo. Per esempio, nel mio piatto “Biancostato, cicoria, pane e midollo”, il focus non è sulla carne, come si potrebbe pensare, ma sulla cicoria fresca, che è l’elemento portante del piatto.
Qual è l’ingrediente di cui non potrebbe più fare a meno?
Le foglie del caffè selvatico, che non avrei mai pensato crescesse in Puglia: me l’ha fatto scoprire una anziana signora della zona. Batto le foglie, le unisco all’olio extravergine di oliva con un pizzico di sale e zucchero, lascio sottovuoto per qualche ora: una marinatura perfetta per le carni che regala un tocco fortemente erbaceo e vegetale.
Ha altri buoni propositi per il nuovo anno?
Sì, lavorare meno ma meglio. Nella mia brigata siamo in 80, il mio obiettivo è dare a tutti 2 giorni di riposo. Deve diminuire lo stress lavorativo in generale perché solo in un ambiente sereno si può sviluppare al meglio la propria creatività. Non vogliamo essere solo cuochi, ma cuochi felici.