È Ernesto Iaccarino il nuovo presidente degli Jeunes Restaurateurs d'Europe. Per i prossimi tre anni ci sarà lo chef campano alla guida degli JRE, l'associazione nata nel 1974 che riunisce oltre 340 ristoranti e 160 alberghi in 13 paesi: "Tra il mio ristorante a Sant'Agata sui Due Golfi (provincia di Napoli, NDR) e le tante consulenze sono sempre di corsa" racconta "Ma non potevo dire no a un incarico così importante. Cercherò di dare il massimo e di impegnarmi su tutti i nostri nuovi obiettivi, come ho già fatto negli ultimi tre anni da vicepresidente".
Iaccarino, classe 1970, è l'erede di una dinastia culinaria: il nome Don Alfonso 1890 viene dal bisnonno Alfonso Costanzo, e la data dall'anno in cui è stato fondato il ristorante, che ora ha due stelle Michelin. "Sono entrato in cucina a 10 anni e non ne sono mai uscito. Durante la settimana andavo a scuola e il weekend lavoravo". Ha un'aria vagamente profetica l'incontro da ragazzino con Gualtiero Marchesi, che gli dice "Vai in cucina, ma vacci con la laurea". E infatti aspetta di prendere una laurea in Economia e Commercio alla Bocconi prima di dedicarsi, nel 1989, esclusivamente al ristorante.
Noi di Fine Dining Lovers gli abbiamo fatto qualche domanda sul suo nuovo incarico a capo dell'associazione che da quarant'anni cerca di unire i giovani ristoratori europei sotto i 42 anni di età, promuovendo l'innovazione senza dimenticare la tradizione, e fornendo una rete per lo scambio di conoscenze e progetti.
Quali saranno i suoi primi obiettivi come presidente?
A inizio 2016 pubblicheremo il nuovo manifesto degli JRE: è sempre importante creare una carta dei valori su cui far convergere tutte le culture presenti negli JRE. Gli obiettivi, le idee e la filosofia presenti al suo interno saranno le mie linee guida per i prossimi tre anni, ciò in cui crediamo adesso e per cui lavoreremo in futuro.
Qual è l'obiettivo principale, quello che le sta più a cuore?
Da italiano metto sempre l'accento, parlando con i miei colleghi, sull'importanza di preoccuparsi della provenienza del nostro cibo. Abbiamo l'obbligo di conoscere nomi e cognomi degli ingredienti che utilizziamo, e impegnarci affinché siano sostenibili, economicamente ed ecologicamente. Lo chef deve farsi protettore della biodiversità (la famiglia Iaccarino guida l'azienda agricola Pieracciole, NDR) e guardiano del proprio terroir.
L'alta cucina deve necessariamente puntare al km 0?
No, anzi. Dobbiamo sempre mantenere uno sguardo aperto sul mondo senza essere estremisti. Pensiamo alla mia cucina, quella mediterranea: il pomodoro viene dall'America, il caffè viene coltivato principalmente in Centro e Sud America, perfino le bufale delle nostre mozzarelle sono arrivate con Annibale nel III secolo AC. Bisogna essere aperti ai cambiamenti a livello mondiale. Come scriviamo anche nel manifesto, "Excellent innovation will become a new tradition".
Innovazione, filiera ... quale sarà un'altra parola chiave della sua presidenza a capo degli JRE?
Identità. Ricordo che, qualche anno fa, sono andato in Tunisia e in Marocco per trovare cuochi che partecipassero a un concorso per chef mediterranei: in entrambi i casi mi hanno portato in ristoranti francesi. Il mio messaggio invece è di creare le proprie identità culinarie, valorizzare le proprie tradizioni e le proprie differenze.
Quando mio padre Alfonso è entrato alla guida del ristorante, negli anni Settanta, ha iniziato a promuovere i prodotti locali e gli davano del pazzo: a quell'epoca era normale avere in carta foie gras, ostriche ed escargot. Il tempo gli ha dato ragione.
Qual è l'insegnamento più importante che le ha dato suo padre?
Il rispetto della materia prima, che è poi rispetto per noi stessi: il cibo è collegato a quello che siamo, e mangiare in modo sano e corretto influisce su tutta la nostra vita.
L'anno scorso invece lei è stato giudice alla finale italiana di S.Pellegrino Young Chef 2015: cosa pensa delle nuove generazioni che arrivano in cucina?
Negli ultimi anni vedo ragazzi convinti che il mestiere degli chef sia quello che vedono in tv. Non capiscono che in realtà è un lavoro durissimo, fatto di sacrifici e poco tempo libero. C'è anche un aspetto positivo, però, in questa super-presenza mediatica degli chef: ora abbiamo una clientela più giovane. Quando sono entrato in cucina io il cliente medio aveva 60, 70 anni, ora vedo ventenni che magari non spendono per il telefono nuovo ma per una cena da noi.