Si chiama Exhibition Flair e altro non è che una specializzazione del Flair Bartending, conosciuto da tutti come Flair, le cui origini risalgono alla metà del 1800. Da questo particolare momento storico, comincia a prendere piede questa tecnica che, da un lato voleva ridurre i tempi di attesa, dall’altro si proponeva come modo per intrattenere e far divertire i clienti durante la preparazione di un cocktail. Nello specifico, l’Exhibition Flair è una delle due varianti del Flair insieme al Working.
Questa tecnica nasce per spettacolizzare la preparazione di un drink, catturando l’attenzione del cliente con dettagli e movimenti scenici, invogliando così gli ospiti al bancone ad ordinare. In modo particolare, il bartender utilizza delle tecniche acrobatiche con bottiglie vuote o contenenti al massimo pochi cl di prodotto. Durante l’esibizione, il bartender risulterà impegnato in rotazioni, lanci, spesso bizzarri, di bottiglie a volte infuocate ma questa spettacolarizzazione non toglie che i cocktail realizzati siano di ottima qualità. Un insieme, dunque, di tecniche acrobatiche, dove l’espressione artistica e la preparazione di un drink si legano a tal punto da completarsi a vicenda.
L’Exhibition Flair ha riscontrato una forte popolarità a partire dalla fine degli anni 80, epoca in cui il film Cocktail, con un giovane Tom Cruise come protagonista, sbancò i botteghini di mezzo pianeta , ed il decennio successivo quando le gesta degli American Bartender cominciarono ad essere ammirate anche in Italia, grazie ad alcuni pionieri che intuirono le enormi potenzialità di tale forma di arte moderna e la portarono sui banchi dei cocktail bar nostrani.