Fabrizio Mellino è un venticinquenne decisamente atipico. Possiede una maturità, nelle parole e nel atteggiamento, che lo porta a dire cose come "Una volta, quando non c'era Facebook, gli chef erano più liberi di esprimersi: non potevano 'copiare' dai social". Oppure che "La tv è un'arma a doppio taglio, esalta il nostro lavoro ma lo banalizza anche. Senza studio e cultura culinaria è inutile".
D'altronde ha già costruito, a soli 25 anni, un solido percorso che lo ha portato in alcune delle migliori cucine del mondo - Alain Ducasse e Quique Dacosta, per citarne alcuni -per poi tornare a i Quattro Passi, il ristorante due stelle Michelin a Nerano, nel pieno splendore della Costiera Amalfitana, guidato dal padre Tonino. "Prima avevamo una dinamica di scontro, ora è di confronto" spiega Fabrizio.
Lei è cresciuto in cucina. I suoi genitori hanno subito provato a "instradarla"?
Qualche esperienza estiva da ragazzino l'ho fatta, ma in sala, mi piaceva di più. Mio padre però diceva sempre che tutto in un ristorante parte dalla cucina, e vuoi o non vuoi ho iniziato a entrarci. Al liceo abbiamo fatto una gita all'Institut Paul Bocuse: lì ho deciso che quella era la mia strada.
È stata dura trasferirsi all'estero?
Prima di iscrivermi ho dovuto fare 3/4 mesi a Lione per imparare il francese. Eravamo 14 nazionalità diverse su 21 studenti, tutti ossessionati dalla cucina, parlavamo solo di quello. Era come frequentare un caffè letterario a Parigi nel 1800, mi ha veramente aperto la mente e dato un'immagine diversa, intelligente, della figura del cuoco.
Quali sono state le sue esperienze successive?
Sei mesi da Nino di Costanzo, sei mesi a Les Terrasses d'Uriage a Grenoble - in mezzo al nulla delle montagne francesi, un trauma per me che venivo dalla Costiera! - e un periodo da Ducasse, che è stato come fare il militare per il livello di perfezione e concentrazione richiesti. Ho anche fatto uno stage da Enzo Coccia: volevo imparare i segreti della vera pizza napoletana.
Qual è stata l'esperienza più importante tra tutte queste?
Non ti forma l'esperienza in sé bensì le conoscenze che fai durante l'esperienza. Ci sono chef che spizzicano stage di qua e di là, viaggiando continuamente, ma io penso che ogni ristorante sia una storia a sé con la sua filosofia. A un certo punto devi fermarti e crearti la tua identità.
E da suo padre cos'ha imparato?
Il rispetto della materia prima: sente quotidianamente la nostra rete di fornitori e si alza alle 5 per andare al mercato del pesce. Non perde mai l'umiltà. E ha una capacità di improvvisazione straordinaria: vederlo creare ti mette in discussione come cuoco.
Se dovesse scegliere il piatto che più la rappresenta, quale sceglierebbe?
La Trasparenza in seppia: un piatto che riprende la classica bruschetta con lardo e fave, mangiata a Pasqua, ma utilizzando la seppia al posto del salume. Nel creare un piatto parto dall'ingrediente, mi chiedo come servirlo nel miglior modo e soprattutto come vorrei mangiarlo io.
I suoi coetanei vengono ai Quattro Passi?
La mia generazione sta riscoprendo l'alta ristorazione: invece che spendere 30-40 euro per un ristorante di medio livello risparmiano mesi e si concedono una cena da noi. Abbiamo spesso grandi tavolate di giovani e sono dei bellissimi clienti: curiosi, fanno tante domande.