Fase 3, tempo di rinascita. Dopo avervi raccontato i nuovi format estivi degli chef, tra temporary e pop up restaurant, aver dato voce al mondo della sala e ai pizzaioli, è giunto il momento di interrogarsi sul futuro dell’universo beverage. Come stanno vivendo la ripartenza i cocktail bar e i loro protagonisti?
C’è chi studia format diversi, chi apre locali virtuali, chi si adatta alla nuova normalità e trova soluzioni alternative, ma anche chi fonda associazioni che ascoltano le esigenze di chi sta dietro al bancone, dando voce al settore dell’ospitalità.
Ecco idee, considerazioni e spunti di riflessione di bartender e imprenditori, per affrontare il nuovo corso tra formule inedite e spirito di adattamento.
Mattia Pastori e il primo cocktail bar virtuale
Non ha bisogno di presentazioni Mattia Pastori. Bartender pluripremiato, vincitore di due Diageo World Class, oggi è l’anima di Nonsolococktails, società che si coniuga in consulenza, formazione ed eventi. Firma la drink list di diversi locali, tra cui il Columbus di Peschiera Borromeo e l’Armani di Milano. Durante il lockdown, si è attivato con l’e-learning della sua scuola e ci ha regalato le ricette per realizzare a casa i cocktail come al bar.
Ora riparte con nuovi progetti e nuove sfide, perché - come lui stesso racconta - la ripresa non è facile. “Sono cambiati gli stimoli in questi mesi e trovo che per molti sia difficile dire ‘vado fuori’. Noto un ritorno al ‘quartierismo’: vivi molto di più il quartiere, sia per la spesa che per i drink, dalla colazione all’aperitivo. Vedo lenta la ripartenza, nel senso che ci metteremo un po’ a tornare alla normalità. Quando esci, però, ti comporti come prima: è un cercare di riprendere le vecchie abitudini, gradualmente”. Come superare il momento di empasse? “Proprio come gli chef, che hanno diminuito i coperti, trovando però soluzioni alternative per raggiungere i clienti a casa con il delivery, ho pensato di raggiungere i clienti dei cocktail bar studiando il format del primo locale virtuale: si chiama PM post meridian by Nonsolococktails Mattia Pastori”.
Come funziona? “È come se fosse uno speakeasy virtuale, un locale che non c’è (è un rendering e viene montato un video), ma con un suo brand: i clienti si collegano e con il mouse possono scegliere. Così, si va nella bottigliera e si decide il cocktail da bere, che viene spedito a casa, sotto forma di un box contenente tutto l’occorrente per farlo. Per esempio, per un Margarita si riceve la bottiglietta mignon di tequila e di Cointreau, il sale e il limone fresco, il cliente deve solo preoccuparsi del ghiaccio”, spiega il bartender. Non mancano le indicazioni su come costruire il cocktail e l’esperienza, “per esempio diamo i consigli su appetizer a tema che si sposano con i sapori messicani, nel caso del Margarita”, precisa Pastori. Ma il mixologist non si è fermato all’aspetto meramente beverino: “Oltre che il video del barman che prepara il drink, si ha la possibilità di caricare la colonna sonora”. Per un’esperienza a 360 gradi.
Domenico Carella, Carico e la formula del cocktail bistrot
Si scrive Ca-ri-co e si legge “casual risto cocktail”. Domenico Carella, titolare (assieme Lorenzo Ferraboschi) e direttore di sala di Carico, giovane realtà milanese inaugurata il 10 febbraio, a ridosso del lockdown, ha le idee chiare. “La chiave del futuro? Differenziare la proposta, non essere piatti e monotoni, dando ai clienti in primis alta qualità a un prezzo appetibile: i nostri drink classici, per esempio, partono da 8 euro, così come i piatti. I tasting menu con i mini pairing, invece, vengono 38 euro per tre corse, 58 euro per cinque”, racconta.
È un concept nuovo quello di Carico Milano: un hub che punta sul doppio binario del food e dei drink, concepiti con pari importanza e con un’idea di percorso. E con una produzione che include fermentati, giardiniere e piccoli bites, tutto fatto in casa. Se in cucina c’è lo chef Leonardo D’Ingeo, dietro il bancone si trova il bartender Federico Turina. “Abbiamo una identità forte nel bere e nel mangiare, che non tralascia nessun aspetto, nemmeno nel servizio: su 40 clienti, l’80% viene per fare il tasting menu, con abbinamento cocktail e piatto. È vincente il fatto di avere una carta che cambia ogni due o tre giorni: andiamo al mercato ogni dì e trasformiamo in bere e mangiare ciò che troviamo. È uno stimolo, ma anche un’esperienza”, aggiunge Carella.
La loro attività è un esempio positivo di successo, nonostante tutto. “L’apertura a febbraio è andata alla grande, durante la quarantena invece ci siamo focalizzati sul delivery e sull’asporto (ora non c'è più il tempo per portarli avanti), ma abbiamo anche avuto l’idea di aprire un e-commerce su carico.io dove vendiamo accessori, preparati per il food e per il beverage, ricette e libri, che rimarrà attivo come ulteriore attività fissa”. Insomma, l’emergenza Coronavirus in questo caso ha rappresentato lo stimolo per evolversi e superare gli spazi fisici del locale. Ora? Il cocktail bistrot ha riaperto con una riduzione dei posti a sedere: al bancone, che è una scrivania degli anni ‘30, ci sono due posti anziché quattro, mentre in sala si è passati da 42 a 18 posti, cui si aggiungono le 16 sedute del dehors, attrezzato in maniera provvisoria, in attesa di quello definitivo. “La ripartenza è andata alla grande: al momento stiamo facendo numeri che addirittura superano quelli del pre Covid - commenta Carella - tanto che abbiamo intenzione di aprire un secondo Carico, sempre a Milano”.
Leonardo Leuci e la rete Italian Hospitality Network
"Si parla erroneamente di movida, ma noi rappresentiamo una industry a tutti gli effetti", ci ha detto Leonardo Leuci. Imprenditore e guru della mixology, a Roma firma locali come il mitico Jerry Thomas, oltre al più recente Latta e La Punta, un luogo vocato ai cocktail e alla cucina messicana.
La ripartenza? "Il dehors di Latta fa la differenza, il locale è avvantaggiato, sta riuscendo a tornare alla normalità più rapidamente. Il Jerry Thomas, invece, soffre come tutti i locali al chiuso, non solo perché i posti sono diminuiti di un quinto, ma anche perché il centro storico di Roma in questi giorni è un deserto. Stiamo lavorando con i local, ma la situazione è ancora molto tranquilla".
Durante la quarantena, Leuci ha collaborato alla fondazione dell'associazione Italian Hospitality Network, con l'idea di aggregare per la prima volta il settore dell'ospitalità, declinata in bar, wine bar, cocktail bar, discoteche, club, ristoranti e bar di hotel. In cifre? Più di 300 iscritti e oltre 5 mila firmatari di un manifesto che dà voce a un settore troppo spesso non preso sufficientemente in considerazione. "Se un settore va, funziona per tutta la filiera, e quella del mondo del bar è gigantesca: molti non lo hanno ancora capito", ci ha raccontato.
Le sue riflessioni, assieme a quelle della rete di Italian Hospitality Network, trovano espressione in un manifesto e in una serie di proposte per gestire al meglio il futuro dei cocktail bar, rispondendo in maniera intelligente alle esigenze attuali del settore e alle polemiche sugli assembramenti (qui il nostro approfondimento su IHN).
"Non crediamo che il delivery, per quello che riguarda i bar, possa essere interessante. Perché in Italia il consumo di alcolici e super alcolici è bassissimo, si beve molto più vino e, allo stesso tempo, è più facile trasportare vino e birra a casa. Inoltre, il cocktail perde quasi totalmente il suo valore quando lo porti a casa: posso anche avere il miglior gin, ma non sarà mai come bere al locale, senza lo storytelling. Perché città come Vilnius stanno chiudendo tutto il centro storico per dare servizi ai locali, tutte le strade sono diventate dei dehors, e noi non lo facciamo? Il mondo dei cocktail bar non si salva coi delivery, ma guardando dei modelli che funzionano. Per la ripartenza, crediamo tanto nella destagionalizzazione delle attività e in una riorganizzazione interna", ci aveva spiegato Leuci qualche settimana fa.
Gli ultimi aggiornamenti dall'associazione? "Abbiamo incontrato i parlamentari della commissione sviluppo per presentare la nostra proposta per creare a livello nazionale un tavolo permanente che tratti lo sviluppo del settore: è un mondo complesso e non può essere compreso nel commercio e nella ristorazione. È stata accolta anche dal sindaco di Roma questa proposta, anche per quanto riguarda lo sviluppo e l'organizzazione della città. Abbiamo avviato dei discorsi con i vari assessorati e abbiamo redatto un codice etico, un vademecum per i nostri associati: vogliamo promuovere l’eccellenza in generale, quindi stiamo sviluppando una sorta di documento di autoregolamentazione e autocontrollo, per evitare problemi della cosiddetta “movida molesta”. Stiamo cercando di coinvolgere anche le realtà più restie, che finalmente stanno iniziando a capire che le narrazioni negative sul mondo della notte non giovano a nessuno", risponde.
"Inoltre, stiamo studiando il progetto del contratto di rete, che permetterà di creare un network per avere agevolazioni legali con i professionisti, in modo da fornire servizi che diano aiuto e sostegno a tutti i membri dell'associazione, con supporto legale e amministrativo e consulenti del lavoro".
Luca Iannuzzi e Nabilah, il beach bar con le “isole di comfort”
Cosa succede nelle strutture che nascono già come format all’aperto? Interessante il caso di Nabilah, beach club attivo da quindici anni a Bacoli, in provincia di Napoli, che nel 2010 si è trasformato in una complessa realtà con ristoranti, bistrot, piscina e bar. "Per anni questo luogo è stato soprattutto una discoteca open air e, in primavera, bar specializzato in brunch. Ad oggi questa formula non è più fattibile, quindi ritorniamo a essere un beach club con un'offerta di proposte molto ricca, aperto dalle 10 del mattino fino e notte, puntando sul classico American Bar di alto profilo", dice il titolare Luca Iannuzzi.
Per evitare assembramenti al bancone, ecco la soluzione: "Abbiamo creato quindici isole di comfort, al cui interno c’è un lettone, un tavolo per il pranzo, due sdraio, un divano. Di sera hanno una duplice veste: possono essere prenotate per la ristorazione, oppure semplicemente per bere qualcosa. Siamo aperti da domenica 7 giugno, la gente sta rispondendo benissimo, abbiamo fatto delle dirette social per far capire bene di cosa si tratta, le isole sono sempre prenotate, le trasformiamo a seconda dell’esigenza. Potremmo dire che è una risposta carina e molto light ad alcune proposte che si sono viste in tema di misure anti-contagio", precisa Iannuzzi.
L'emergenza, dunque, ha mutato la destinazione e l'organizzazione degli spazi del Nabilah. Niente banconi, niente tavoli, ma isole comfort di 22 metri quadrati che possono ospitare più persone, al massimo 8, con lettoni e divani. La proposta beverage? "Salvatore D’Anna, il bar manager responsabile, ha ideato una cocktail list molto carina, ma fondamentalmente l'offerta non è cambiata, è di sicuro più strutturata, stiamo puntando ancora di più sulla qualità della materia prima", risponde l'imprenditore.
"Ora che la parte discoteca non c’è più, sfruttiamo tutti i 5 mila metri quadrati come lounge bar, con sedute di tipologie diverse. Anche se ci sono i banconi, ci stiamo dando da fare per servire gli ospiti soprattutto ai lettoni, con steward che controllano l’accesso ai locali e ai bagni. C'è un allestimento pieno, con molto verde: per noi è un ritorno alle origini. In un momento in cui c’è il problema del distanziamento sociale, per noi è stato quasi un percorso obbligato, anche se in realtà stavamo già prendendo questa strada: è una soluzione efficace e, in prospettiva, è qualcosa da lasciare per il futuro", conclude l'imprenditore.
Francesco Cione e il futuro "trasversale" al banco del bar
In un luogo come l'Octavius Bar at The Stage Milano, l’esperienza al bancone è fondamentale. Qui è protagonista il raffinato storytelling di Francesco Cione, che con classe presenta drink dallo stile impeccabile.
Per le misure anti-contagio, che prevedono una distanza di un metro tra l’operatore e l’ospite, è proprio il servizio al banco bar a essere sacrificato nella maggior parte dei locali. Così, l’Octavius Bar at The Stage Milano sta pianificando la ripartenza con una formula ripensata per adeguarsi al meglio alle direttive. L’idea alla base? Trasformare l’accoglienza da orizzontale a trasversale, con un approccio diverso al cliente, come ci spiega in maniera approfondita lo stesso Cione qui di seguito.
"La nostra volontà, durante questo periodo di pianificazione e ripartenza, è quella di voler sfruttare in nostro favore il concetto di 'trasversalità'. Una trasversalità materiale, dovendo l’operatore porsi ad adeguata distanza, e quindi trasversalmente rispetto all’ospite seduto al banco. Ma anche una trasversalità concettuale, volendo implementare con maggior efficacia e attenzione tutte quelle sfumature di accoglienza e servizio che ci portano a superare quel limite di pensiero per cui la connessione tra bartender e cliente è limitata alla mera mescita della bibita scelta o proposta. Questa condizione di distanza imposta, ci porta - ed è una grande opportunità - a dover agire con una consapevolezza ancora più significativa su aspetti che per quanto alla base, vengono spesso messi in secondo piano. Ed è qui che si avvalora la trasversalità del servizio".
"Trasversalità, infatti, è poter proporre espressioni di servizio accessorie, come quello di una carta delle pietanze che possano accompagnare il drink ed essere consumate al banco. O ancor più, un piccolo menu degustazione di assaggi tra cocktail e specialità dello chef, che rendono l’esperienza al banco più completa, invitante, inaspettata. Ma trasversale è anche la possibilità, sfruttando la tecnologia, di poter far accedere l’ospite ad una serie di informazioni e strumenti fino a ieri inesplorati. Un QR code che permette l’accesso, ad esempio, a riviste digitali complementari per il cliente, o che dà modo di curiosare con il proprio smartphone al banco bar, su quel testo storico di inizio '900 da cui è stata tratta l’ispirazione del cocktail che gli è stato proposto", spiega Cione.
E conclude: “Trasversalmente, infine, sarà fondamentale il contatto visivo. Gli occhi avranno un ruolo meravigliosamente importante. Gli occhi del bartender dovranno farsi riconoscere ancor più attenti a quella imprescindibile necessità dell’ospite di volersi sentire considerato, riconosciuto, messo a proprio agio. E allo stesso modo gli occhi dell’ospite, brillando, saranno la più efficace chiave di lettura di quel senso di benessere e soddisfazione che chi ha svolto un buon lavoro riesce a regalare. È il bar dove gli occhi degli ospiti brillano, infatti, un bar dove si sta bene. Qualcuno lo chiama esprit de finesse, ma questa è un’altra storia".