"Mi chiamano l'ultimo mugnaio. È vero, siamo rimasti in pochi, ma finché ci sarà qualcuno che ama il grano, i mulini non scompariranno". Parola di Filippo Drago, guru siciliano dei grani antichi: quelle varietà nate e sviluppate in Sicilia e che nel corso degli anni sono andate scomparendo. Mugnaio da tre generazioni, Drago è oggi un imprenditore e proprietario dei Molini del Ponte a Castelvetrano, paesino in provincia di Trapani, ma le sua fama ha ormai superato i confini della Sicilia tanto che le sue farine sono ricercate da Londra a New York.
La sua avventura di riscoperta e recupero del passato è cominciata studiando i grani antichi sui testi dell'agronomo italiano Ugo de Cillis, scoprendo che al Museo di Caltagirone – un paesino dell’entroterra siciliano in provincia di Catania - erano conservati molti semi di grani autoctoni siciliani "tenuti in vita" e seminati solo per scopi antropologici: delle varietà conservate ma non utilizzate, quasi fossero in letargo.

I GRANI QUASI ESTINTI
Drago subito pensò di coltivarli e convinse diversi contadini e proprietari terrieri a convertire le coltivazioni, ridando vita a varietà di grani che stavano per scomparire: “La Tumminia, il Russello, la Biancolilla, la Perciasacchi, il Bidì, la Maiorca: farine integrali perché non c'è mercato, perché ancora nessuno li conosce. Eppure sono grani integri, sani, che vanno incontro alle nuove esigenze dei consumatori al punto che è quasi superfluo definirli biologici. Ora i miei grani sono un sogno avverato, frutto di un accordo con gli agricoltori. La Tumminia è il più importante, ne parla anche Goethe: è dolce e ha un profumo di nocciole e mandorle tostate. Una farina da veri intenditori. Si semina a marzo, il chicco è piccolo e scuro, è una farina da poveri. Una volta ci si vergognava di portare questo grano al mulino.

La Maiorca è al contrario il grano dei ricchi, la farina che ne deriva è bianca: “È il grano della domenica – spiega Drago - ideale per il pane delle feste e i dolci. Le mie farine possono profumare di camomilla o finocchietto, dipende dalle erbe che abitavano nel campo".

Continua Drago: "Un grano che amo è la Perciasacchi, dal chicco molto allungato. Si chiama così perché quando si trasporta nei sacchi di iuta il chicco allungato buca la stoffa. Anche questo è biondo e pregiato, ideale per diventare pasta. La Biancolilla ha lo stesso nome di un cultivar di ulivi, invece è un grano. Da cui nasce un pane profumato ed eccellente, quello di Castelvetrano".

Il lavoro di Drago è un continuo equilibrio tra passato e futuro, tra antichi saperi tramandati una generazione dopo l’altra, e la necessità di tenere il passo con i cambiamenti: ma com’è possibile conciliare questi due aspetti, tenendo l’attività in continua evoluzione? "Semplice, da una parte compro macchinari all'avanguardia per selezionare e tenere il grano pulito, dall'altra mantengo la macinatura a pietra rabbigliata: un particolare tipo di pietra che presenta scannellature praticate con martelli appositi. Ciascuna pietra mantiene disegni – tutti risalenti all’800 - adatti alla molatura di un particolare grano”.
Ora che anche il New York Times ha scoperto i Mulini del Ponte, Filippo Drago non ha intenzione di fermarsi: " Per il domani la mia missione in giro per il mondo è recuperare le antiche varietà autoctone siciliane e continuare a macinarle all'antica: anche se suona strano dirlo, il futuro è nella pietra".