Nel panorama della mixology italiana, il nome di Flavio Angiolillo è tra quelli più gettonati. I locali che ha aperto insieme ai suoi soci sono stati punto di riferimento per la New Era dei cocktail bar in Italia – e non solo - e rampa di lancio comprensibile, piacevole per tutti coloro che già anni fa non volevano accontentarsi dell’ennesimo Negroni Sbagliato.
Sei cocktail bar all’attivo nella sola Milano, cinque prodotti di successo e un fervore che non accenna a calare: un bar per viaggiare (Iter), due per sentirsi a casa (Mag e Mag La Pusterla), uno segreto (1930), uno per conoscere le ricette storiche (Barba) e uno esclusivo (Backdoor 43, che ha solo due sedute).
Abbiamo parlato con Angiolillo dei nuovi progetti, di come si sono evoluti quelli più vecchi e di cosa significa essere un bartender-imprenditore. Tra gli inizi nella sua Francia e l’Italia.
Crediamo sempre sia importante partire dall’inizio per conoscere un personaggio. Chi è, Flavio Angiolillo?
Flavio Angiolillo non è andato dietro al bancone per passione, ma perché cercava un lavoro. E, all’età di 16 anni, decide di lavorare in cucina. Ho iniziato in Francia, poi sono andato a Montecarlo e quindi Londra e i Caraibi. In questo percorso sono passato dalla cucina alla sala, ma mi sono reso conto che entrambi non mi piacevano: in cucina creavi qualcosa che altri vendevano; in sala vendevi ciò che in cucina creavano. Quando 12 anni fa sono arrivato a Milano, non sapevo l’italiano (il nome di Flavio Angiolillo è italiano ma è cresciuto in Francia, ndr) e ho fatto in un locale sul Naviglio Pavese prima il lavabicchieri e, poco dopo, mi hanno insegnato a fare uno Sbagliato. Ho scoperto che mi piaceva: potevi vendere al cliente quello che gli creavi sotto gli occhi.
Da lì è nato il primo progetto: Mag. Era il locale che voleva?
Mi piaceva il mondo della mixology, molto, e il bar che volevo aprire era sicuramente votato ai numeri. Un posto sempre pieno dove tutti fossero felici e soddisfatti. Quando ho conosciuto il mio socio Marco Russo, che invece voleva puntare a fare un locale che proponesse un certo tipo di miscelazione di alto livello, abbiamo capito che potevamo unire le due idee e fare un locale pieno con drink di un certo tipo. Da quel momento sono passati molti anni, ma l’anima è rimasta quella. La mia idea di mixology e di locali si è però sempre evoluta: ho capito che a Milano per riuscire devi fare una o due cose massimo, ma fatte bene. Questa è la chiave per vincere. Spesso sento dire che "Flavio Angiolillo è quello che è riuscito, un genio", ma non è così. Dalla prima apertura all’ultima ci siamo sempre messi in discussione. Non sono un genio, anche io ho delle idee che, quando mi confronto con gli altri, capisco che sono idee stupide e le elimino. Serve non essere mai arroganti e farsi molte domande.
Lei si sente più un bartender o più un imprenditore?
Oggi mi sento sicuramente più imprenditore, ma non c’è cosa più piacevole di stare dietro al bancone. È bello, rilassante, il tempo vola. Come bartender mi diverto: è un lavoro piacevolissimo, passi del tempo con il tuo team, parli con i clienti, li puoi fare felici. Chiaramente la parte imprenditoriale è molto più stressante da gestire. Però il concetto è sempre quello: mai essere arroganti, credere di sapere già tutto, ma farsi continue domande. Capire cosa vuoi tu e cosa il cliente, per esempio. O, nel caso di un prodotto nuovo come il nostro neonato Bitter Fusetti, capire che tipo di target si vuole, fare e riprovare. Per questo bitter, che sta avendo già un grandissimo successo, abbiamo fatto diversi assaggi al buio fino a che tutte le persone all’assaggio non hanno deciso che tra i due bitter, il nostro era meglio.
Molto recentemente Mag ha aperto una nuova sede, il Mag Pusterla. Un posto molto caro ai milanesi.
Io mi emoziono quando i clienti mi dicono che in quel caffè hanno fumato le prime sigarette, dato i primi baci, fatto i primi appuntamenti. Mag Pusterla è nato da una necessità: quella di smistare i nostri clienti che riempivano il Mag sui Navigli. Tra limitazioni per la pandemia e lo spazio limitato del Mag, ci ritrovavamo spesso a dover dire ai clienti di andare in altri bar. E poi si è presentata l’occasione di prendere questo bar già conosciuto a due passi dalle Colonne di San Lorenzo che ha uno spazio di 300 mq. Così ne abbiamo approfittato, perché nei momenti difficili puoi abbandonare o investire di più e noi, che abbiamo molto personale e non vogliamo naturalmente lasciarlo a casa, abbiamo investito. Così, ora, possiamo smistare i nostri clienti in un luogo caldo ugualmente, con i nostri cocktail e molto più spazio. Abbiamo pensato: cosa ti offriamo noi? Un ambiente dove ti senti a casa. E Mag Pusterla è proprio casa. Da subito ha avuto successo e per noi è bellissimo.
Non solo locali: il vostro universo comprende anche alcolici. Come sta andando, invece, quel mercato?
Al momento abbiamo un botanical spirit, Mediterraneo, uno spiced rum, un amaro, un nuovo bitter, Bitter Fusetti, e un cognac (anche questo molto recente). Da qualche anno ormai produciamo la nostra linea Farmily e oggi abbiamo anche una distilleria ad Abbiategrasso, quindi molto vicino a Milano. Gli spirits sono apprezzati, l’amaro soprattutto durante il lockdown è andato a ruba, il cognac è stato acquistato in Francia e fatto invecchiare in botti di legno di Bercé, una foresta sotto Parigi, ma si vendono solo agli appassionati e, poi, c’è il Bitter Fusetti. Di cui abbiamo venduto 3200 bottiglie in due settimane e molti bar milanesi l’hanno scelto come bitter di linea. È stato un successo veramente inaspettato, siamo contentissimi.
I World’s 50 Best Bars 2020 hanno inserito il vostro bar 1930 al 25esimo posto. Quel bar, che è stato uno dei primi veri speakeasy italiani, è stato aperto per raggiungere proprio quel risultato?
Sono quattro anni che il 1930 è in quella lista. I primi due anni nella lista dei migliori 100 bar al mondo, dall’anno scorso tra i migliori 50. Ma quando ci arrivò la comunicazione, io ero sicuro che a entrare sarebbe stato il Backdoor 43. E lì ci siamo accorti di che grandissimo lavoro aveva fatto piano piano Benjamin Cavagna, che negli ultimi anni ne sta gestendo il bancone e gli ospiti. Volevamo un bar curato, ben fatto, per pochi. E mantenendo un certo livello siamo entrati in una lista che ci riconosce come uno dei migliori bar. Ma quello che è sempre venuto prima non era il traguardo, bensì il cliente.
Ci piace sempre chiudere con il cocktail preferito. Qual è il suo?
Un Manhattan morbido. Più soft, diciamo. Fatto con una parte di whisky, una parte di vermouth rosso e orange bitter servito in coppetta. Facile e buonissimo.