L'anno scorso Il Pagliaccio, il ristorante due stelle Michelin di Anthony Genovese a Roma, ha compiuto dieci anni. Buona parte dei quali vissuti anche da Francesco Di Lorenzo, arrivato otto anni fa come capo partita dei primi ("È la cosa che più mi piace cucinare, e che maggiormente rappresenta la mia identità") e ora sous chef. Noi gli abbiamo fatto qualche domanda, a partire dalla sua infanzia calabrese - stessa origine dello chef - a Praia a Mare, in provincia di Cosenza.
Quando ha capito che sarebbe diventato uno chef?
Ogni domenica mi alzavo, e già dalle scale sentivo l'odore di mia madre che cucinava fusilli di semola con ragù di capra. Inoltre, la mia è una famiglia di fruttivendoli e autotrasportatori, sempre di frutta e verdura: il mio destino era segnato, o facevo un mestiere o facevo l'altro. Io ho scelto di diventare chef, ma in un certo senso, sempre nell'ambito del cibo sono rimasto.
Prima di arrivare a Il Pagliaccio lei ha fatto molte altre esperienza nell'alta cucina.
Sì. Prima ho fatto le classiche stagioni, ma non ero soddisfatto, sentivo che dovevo ancora allargare le mie conoscenze. Poi nel 2004 sono arrivato all'Hotel Savoy di Firenze, e lì, sotto la guida di Andrea Accordi, ho sentito che era davvero cominciato il mio percorso. Sono arrivato al Pagliaccio nel 2007.
Cosa l'ha convinta a fermarsi al Pagliaccio?
Lo stile di cucina era esattamente quello che volevo portare avanti io. La definirei con due aggettivi: elegante e gustosissima. E poi con lo chef, oltre che colleghi, siamo amici. Usciamo spesso insieme. Beh, uscivamo ... ora che ho la ragazza devo dedicare più tempo a lei, già le sembra di vivere in un rapporto a tre, per tutto il tempo che passo in cucina.
Saper cucinare aiuta a conquistare le donne?
Più che altro serve a tenersele! Per conquistarle, invece, consiglio di seguire l'istinto e quello che ci si sente al momento, senza per forza lanciarsi in ricette complicate.. Una volta ho cucinato una coscia di pollo con piselli, ed è andata bene.
La scena gastronomica della Calabria sta migliorando, anche se lentamente. Tornerebbe mai lì?
Non ho i mezzi per tornare e aprire qualcosa, ma ovviamente mi piacerebbe. Ogni volta che torno lì prendo i prodotti che crescono nel mio giardino, nell'orto curato da mia madre, e penso: con questa materia prima, perché la cucina non funziona? Il problema della regione è che tantissimi ragazzi, come me, sono andati via. Sono contento per i 2 o 3 che sono rimasti e che "spingono" la scena ristorativa.
Vede differenza fra la "sua" generazione e quelle che arrivano adesso nelle cucine?
Tra i nostri stagisti vedo molte persone, ragazzi giovanissimi o trentenni che magari prima facevano un altro lavoro, che arrivano perché sedotte dalla televisione. Appena capiscono che il mestiere di chef è un'altra cosa rispetto a quello che sembra in tv se ne vanno. Chef come Carlo Cracco prima di arrivare in tv fanno molta fatica e molti sacrifici. Io devo fagli capire come ci si comporta, assecondando i caratteri di ognuno e formando un gruppo: è una lotta continua. Noi eravamo diversi, lavoravamo tutto il giorno senza lamentarci, e ci accontentavamo di farci una birretta e due chiacchiere dopo il lavoro.
Quali sono i suoi progetti futuri? Pensa mai di aprire un suo ristorante?
L'obiettivo, per adesso, è conquistare la terza stella Michelin a Il Pagliaccio.