Non si ferma mai Gianluca Fusto: la sua è stata, ed è tutt'ora, una carriera in rapida ascesa che lo ha visto diventare in breve uno dei punti di riferimento dell'alta pasticceria italiana e internazionale. All'inizio del 2013 esce anche il suo primo libro, Percorsi (edito da Reed Gourmet), un prodotto editoriale curato nella forma e nel contenuto, che corona il lavoro fatto fino ad ora, con più di 50 ricette e altrettante fotografie d'autore.
Inizia con la ristorazione, Gianluca, e in seguito si accorge della sua passione per l'alta pasticceria: nel suo passato gli studi londinesi, ed esperienze importanti, come quella nella cucina di Gualtiero Marchesi e Aimo Moroni. Nel 2008 apre la Gianluca Fusto Consulting, con la quale gira per il mondo, dalla Francia e al Medio Oriente, tenendo corsi e portando con sè fantasia e conoscenza delle materie prime.
La sua è un pasticceria che ha poco a che vedere con la tradizione italiana; durante l'intervista sottolinea "Non faccio una pasticceria italiana rivisitata; ci sono persone molto più brave di me che già lo fanno". Il lavoro di Fusto si basa infatti sulla ricerca e sulla volontà di non ripetersi mai, "perché una volta che qualcosa viene realizzato e immortalato diventa automaticamente vecchio".
Quando si è accorto che era l'alta pasticceria la sua passione?
Nasco dalla ristorazione, ma fin da subito con un occhio alla pasticceria, anche se quando ho iniziato a lavorare non era un settore così acclamato; pensare che nei grandi ristoranti i dolci venivano ancora serviti al carrello. Ad un certo punto mi sono reso conto che era necessaria un'evoluzione; a quei tempi lavoravo al Savini di Milano, storico ristorante della città, ero lì per fare lo stage di cucina, ma appena potevo correvo a preparare i dolci. Quando mi sono accorto che volevo fare quello, sono volato a Londra per studiare.
Come descriverebbe Gualtiero Marchesi e Aimo Moroni, e cosa ha imparato nelle loro cucine?
Marchesi per me è eclettico, intelligente, un vero e proprio artista. Per Aimo mi vengono in mente le parole "amore", "rispetto" e "materia prima". Con Aimo soprattutto c'è un rapporto che dura da 20 anni; ci teniamo in contatto anche adesso e la nostra collaborazione non è mai finita. È una persona che mi permette di crescere giorno dopo giorno; ogni qualvolta che lo sento al telefono apprendo qualcosa.
Com'è nata l'idea per il libro "Percorsi"?
Il libro è nato dal desiderio di me e del fotografo Carlo Baroni di metterci in gioco, e ovviamente dalla volontà della casa editrice, che ha creduto molto in questo progetto.
Carlo è riuscito a vedere i dolci in maniera innovativa e a renderli poi su carta in maniera perfetta. Con lui in fase di lavorazione avevamo un accordo: io dovevo dargli il lavoro perfetto e lui si sarebbe occupato di aggiustare le luci e di fotografarlo. Una volta messo il piatto in posizione lui non cambiava nulla, piuttosto cambiava l'impostazione del set. Questa era una forma di rispetto per me e per il piatto.
Qual è il processo creativo dietro i suoi dolci?
Nel mio caso un dolce nasce in maniera un po' particolare. Ho una scatola di 500 aromi, come i profumieri di Parigi, e da lì parto cercando di capire come si possono legare dei gusti insieme; sul libro affronto l'analisi sensoriale in modo abbastanza approfondita perché un lato molto importante del mio processo creativo. Poi per mettere il progetto nero su bianco faccio degli schizzi. Dal momento poi che rendo pubbliche le mie ricette, come nel caso del libro, per me diventano automaticamente vecchie, e cerco di andare avanti e di dare spazio alla creatività senza prendere spunto dal lavoro altrui. Un giorno ero al ristorante da Ferran Adrià e gli ho chiesto cosa fosse la creatività. Lui mi rispose proprio "riuscire a non copiare gli altri."
Qual è l'ingrediente a cui non potrebbe mai rinunciare e perchè?
Il cioccolato. Fino a 20 anni fa non lo mangiavo neanche, poi Aimo me lo ha fatto apprezzare e da allora è diventato il mio ingrediente feticcio. Questo mi ha spinto a partire per il Brasile per sei mesi e andare a visitare le piantagioni di cacao, e lì mi sono accorto quanto questo ingrediente sia straordinario, di quanto le piantagioni abbiano questi colori, forme e profumi.
Cioccolata e pasticceria sono considerati due mondi diversi; perché questa divisione?
Sono proprio due discipline diverse. Il cioccolatiere ha bisogno di attrezzature e tecniche diverse dalla pasticceria. L'universo è unico, ma ha delle offerte e le tecniche si diversificano, molto varie e complesse, infatti per diventare un maitre chocolatier bisogna avere anni e anni di esperienza alle spalle.
Nel libro Percorsi c'è una parte sul cioccolato, e sebbene sia molto tecnica non è comunque esaustiva. Per avere una conoscenza totale del cioccolato bisogna conoscere la fisica, la tecnica e la chimica e c'è bisogno di qualcuno che t'insegni. Io ho avuto la fortuna di lavorare in un'azienda di cioccolato, la Valrhona, e vedere tutto il processo del cioccolato, dalla piantagione alla trasformazione, e per questo sento di avere un approccio diverso da altri pasticceri.
Esistono delle regole base per la mise en place di un dolce?
Le regole ne esistono tante, ma la mise en place deve tenere conto soprattutto di alcuni elementi imprenscindibili: spazi, attrezzature e persone. Se non teniamo conto di queste cose la catena di montaggio si spezza. Voler fare delle presentazioni troppo complicate, senza avere gli spazi, significa avere un problema; idem se vogliamo fare qualcosa di semplice ma con troppo personale, vuole dire che spreco risorse. Tutto deve avere una regole e deve avere attenzione.
Come si è evoluta l'alta pasticceria negli ultimi anni secondo lei?
Negli ultimi dodici anni ha avuto un'evoluzione molto grossa, e in particolare in questi tre anni. Molto si deve ad alcune testate giornalistiche, che hanno cambiato il modo di comunicare, e anche grazie ai social media. Vedo infatti molti pasticceri che si sono messi in gioco sul web, cercando di riproporre la pasticceria a modo loro. Siamo in un momento di forte cambiamento; c'è più voglia di personalizzare, e si sente l'esigenza di creare un proprio stile. Bisogna sempre rispettare la propria creatività, e per farlo bisogna sempre inseguire l'originalità e fare qualcosa di nuovo.
C'è qualcuno che lei sta seguendo con particolare interesse?
In italia ammiro particolarmente due persone e hanno scelto un settore della pasticceria ben preciso. Uno è Roberto Rinaldini, perchè ha fatto una scelta: ha voluto seguire il filone del cake design, ma l'ha reinterpretato diventando il numero uno. L'altra persona è Davide Malizia, che fin da sempre ha avuto un amore sfrenato per lo zucchero e che ha riportato in Italia la scuola dello zucchero. Entrambi hanno scelto un settore e ci hanno creduto, ognuno con uno stile diverso.
2050. Qual è il futuro del cibo?
Intanto nel 2050 sarò a Bahia, sulla spiaggia, con un chilo di cioccolata. Seriamente: oggi è tutto talmente veloce, che non riesco a capire come potrà essere il cibo fra 30 anni.