Il ritorno di Giovanni Passerini era molto atteso dai parigini. Nel mese di maggio lo chef italiano, già passato dalle cucina del Châteaubriand e de L'Arpège di Alain Passard, ha finalmente aperto il suo Restaurant Passerini nel 12esimo arrondissement della capitale.
L'indirizzo ha subito ricevuto ottime critiche e si è contraddistinto per una cucina italiana fresca e contemporanea. Poi la consacrazione a novembre con la guida Le Fooding: Giovanni Passerini è il miglior chef per la guida francese 2017.
FineDiningLovers ha avuto il piacere di incontrare lo chef di origini romane. Ecco cosa ci ha raccontato.
Miglior chef per Le Fooding: per lei è un premio importante?
Le Fooding è cresciuta molto in questi ultimi 10 anni. La guida è diventata influente ed è ormai un riferimento per un certo tipo di clientela che di fatto è anche il nostro tipo di clientela. Un premio come questo ci ricompensa di tutto il lavoro fatto e in più ha avuto u' eco incredibile, non solo a livello mediatico ma soprattutto dal punto delle prenotazioni. Come ho detto ad Alexandre Cammas le persone come noi, che passano tutto il loro tempo in cucina, si rendono conto di tutto questo soltanto quando escono dai loro ristoranti, perché ci interessiamo poco a quello che si scrive o si posta sui social (che consulto molto raramente). Ad ogni moto il titolo di "Miglior chef" è un po' eccessivo: non mi considero assolutamente il migliore chef di Francia. Siamo in un paese pieno di mostri sacri della cucina, bisogna tenere i piedi per terra.
I ristoranti italiani e Parigi sono davvero tanti: in cosa si distingue il suo ristorante?
La cucina italiana è per definizione molto generosa. Ci sono piatti molto facili da mangiare, ma tanto lunghi da preparare. Immagina la semplicità di un tortellino in brodo... quando lo si mangia, si assaggia la pasta senza riflettere molto. Però realizzarli richiede una mole enorme di lavoro! C'è innanzitutto il brodo che richiede almeno due giorni, poi bisogna lavorare sull'impasto, farlo riposarlo e tirarlo. E infine bisogna preparare il ripieno e chiudere i tortellini uno ad uno. In Italia la cucina è donna. Se si va a Bologna sono le nonne e le mamme a fare la pasta, e la loro tecnica è impressionante e ha dei ritmi molto lenti... è molto difficile riprodurre tutto questo qui.
Quando è iniziato l'amore per la cucina?
Contrariamente a molti chef non ho un background di famiglia. Mia madre non ha mai amato particolarmente cucinare o mangiare. Come tutti gli italiani, però, avevo una nonna che cucinava benissmo e i miei primi ricordi gastronomici sono delle verdure cucinate alla napoletana da lei. Ma nel quotidiano la cucina non faceva parte della mia vita. Non so come questa sia diventata la mia passione.
Quale piatto consiglia a un cliente che viene nel suo ristorante per la prima volta?
La trippa alla romana! È una missione di vita quella di far conoscere la trippa. A Roma e in Toscana la trippa è preparata in modo più leggero e convince anche le persone più reticenti: in Francia la trippa alla moda di Caen non le rende minimamente giustizia. Quando i clienti finiscono un piatto di trippa ho l'impressione che tutti dicano la stessa cosa: "Non ho mai amato la trippa, ma questa è super!". È più eccitante far scoprire questo piatto piuttosto che la pasta, che è già molto popolare in Francia e si trova facilmente in altri ristoranti italiani.
Perché la Francia e non l'Italia?
Per lei (indica la sua fidanzata seduta alla sua destra). E anche perché Parigi per un cuoco è l'ultima tappa per una formazione completa. Sono arrivato in Francia per studiare e sono rimasto qui, dove i clienti sono più aperti e hanno più fiducia. In più qui transitano davvero tanti cuochi e posso contare sempre su un lavoro in cucina molto buono.
C'è uno chef con cui sogna di lavorare un giorno?
Ho un legame molto forte con Armand Arnal, lo chef de La Chassagnette ad Arles. Una volta siamo andati a mangiare da lui con la mia compagna e ha fatto qualcosa che mi ha toccato intimamente: un piatto di pesce da condividere lavorato pochissimo. Mi sono detto: "Il ragazzo ha una stella Michelin e mi porta un piatto con un pesce arrosto e basta! Questa è classe!". Con Justine ho mangiato un po' in tutto il mondo e ci piace la semplicità. Ma un semplicità controllata! Questo piatto era fatto con un po' di cuore un po' di tecnica. Eravamo entusiasti. Ho avuto poi l'occasione di parlare un po' con Armand Arnal ed è una persona incredibile. Anni dopo ci siamo ritrovati e mi ha detto: "Tu ed io, abbiamo la stessa filosofia". Se un giorno dovessi realizzare una cena a quattro mani con uno chef vorrei che fosse lui.
Ha un ristorante da consigliarci a Parigi?
A Parigi ci sono quattro ristoranti in cui vado con molto piacere. Prima di tutti quello di un mio vecchio collaboratore, Simone Tondo, e il Dilia di Michele Farnesi. Nel mio cuore c'è poi Mokonuts. Infine un altro ristorante che adoro, per la sua immaginazione e per la sua padronanza della carta, è Le Servan. Non sono troppo originale, lo so, ma se sono ristoranti noti ci sarà un motivo.
Ci sono altri progetti in cantiere?
Il mio progetto principale è lavorare al mio ristorante, perché è tutto abbastanza nuovo. Ho lavorato anche con i ragazzi de L'Experimental Club che hanno un piacevolissimo bar e hotel a Parigi e ho già lavorato sulla carta del Grand Pigalle.