All’interno delle mura del Krèsios, una masseria che svetta bella e un po’ incongrua nel profilo della provincia beneventana di Telese Terme, lo chef Giuseppe Iannotti ci mostra il laboratorio - ancora in divenire - che, nelle sue intenzioni, dovrebbe diventare un luogo di ricerca per tutti: per i clienti, per osservare il processo di creazione che porta al piatto finito; per le aziende che vogliono sviluppare prodotti e ricette; per gli chef che vogliono condividere qui un pezzo della loro creatività.
Gli occhi e la voce contengono a fatica l’entusiasmo. A nemmeno 35 anni Iannotti ha avuto un percorso di carriera fin qui lineare e luccicante, ma sembra tutto tranne che risolto e pacificato, come se sotto la pelle covasse costantemente un’energia repressa che lo porta in giro per l’Italia e per il mondo, macinando consulenze, eventi e nuovi progetti proprio come questo laboratorio creativo.
L’infanzia la passa in una casa dove “c’è sempre qualcuno che cucina”, un imprinting precoce che rimane passione latente fino a quando a pochi esami dalla laurea in Ingegneria Informatica, a 24 anni, decide di prendere in gestione un ristorante a Castelvenere, spostato poi nel 2011 a Telese. Il progetto Krèsios cresce insieme a questo chef completamente autodidatta - “Non ho mai avuto una formazione canonica né veri e propri maestri”, ci tiene a specificare, “L’unico stage che ho fatto è stato da Alinea perché volevo capire come si guida una Ferrari” - e i riconoscimenti non tardano ad arrivare: Giovane dell’anno per la Guida Espresso 2013, prima stella nella Guida Michelin 2014.
Nell’ultimo anno lo chef ha ridotto la formula del Krèsios a due menu, Mr. Pink e Mr. White, con due lunghezze diverse ma stessa la formula: ci si affida alle sue mani completamente al buio. Una scelta decisamente coraggiosa, quella di eliminare la carta e limitarsi solo alla degustazione, che garantisce un’esperienza unica e cesellata nel minimo dettaglio, anche grazie a uno straordinario team di sala, capitanato dal 22enne Alfredo Buonanno. Due ore e mezza, 35 assaggi, circa 200 ingredienti: una sequenza ben ritmata di assaggi folgoranti, tecnicismi mai esasperati, giochi divertenti e golosi.
Quando lo incontriamo Iannotti sta per partire per l’ennesimo viaggio, stavolta in un resort a Mauritius.
Quanto spesso le dicono che "sta sempre in giro"?
È vero, vado in molti posti bellissimi, ma non me li godo. Non vado mai a un evento per il puro gusto di farmi vedere. In quelle occasioni si incrociano segmenti alti di mercato, il mio obiettivo è anche quello di portare a casa nuovi clienti. L’agenda piena mi serve per reggere il progetto Krèsios.
La definizione di "chef imprenditore" le sta stretta?
Il business è necessario per non svilire il progetto. Io sono un imprenditore sì, ma per poter fare lo chef. Eppure in Italia questa cosa non viene capita. Il mio obbiettivo finale è la lista d’attesa, 15 coperti a servizio - quindi ristorante pieno - e tutti i debiti pagati. Io dico sempre che prendo 100 voli all’anno proprio per tornare a Telese Terme, non per andarmene.
Il territorio la sostiene nel suo progetto?
Qualsiasi posto visiti nel mondo so che voglio restare a Telese Terme. Il mio ristorante ha senso solo in quel contesto, quella è la mia dimensione. Però no, il supporto del territorio non c’è, non capiscono le potenzialità di quel tipo di cucina. Io vorrei che ce ne fossero cinquanta di ristoranti come il mio, che diventassimo una vera e propria meta.
Cosa replica a chi sostiene che lo chef debba stare in cucina?
Al cliente piace l’idea dello chef che lo santifica ed esce dalla cucina per salutarlo. Ma cosa cambia davvero per loro se io ci sono o meno? Ho solo due mani e una testa, se la struttura funziona senza lo chef è un buon segno.
Il lato creativo del suo mestiere ne risente?
La creatività si mantiene non dormendo la notte. Le ore migliori per me sono quelle dalle 22 alle 4 di mattina, quando non ci sono avvocati, commercialisti o fornitori scrivermi mail e posso pensare solo alla cucina. Noi cuochi siamo tutti così: oggi sono stato dalle 5 alle 6 di mattina a messaggiare con Niko Romito. "Perché sei sveglio?", mi ha chiesto. Ho risposto, "Per lo stesso motivo per cui sei sveglio tu".
Qual è il premio che le ha dato più soddisfazione?
Forse quello di Giovane dell’Anno de L'Espresso ma i festeggiamenti sono durati il tempo di un sorriso. Quest’anno molti si aspettavano prendessi le due stelle e non le ho prese. Ci sono rimasto male? Solo per i miei ragazzi. Per me gli obbiettivi sono altri. La vera soddisfazione sono i clienti che ritornano, che una volta al mese prendono l’aereo da Torino, il treno da Firenze o la macchina da Lecco per venire da me.
C’è ancora distinzione tra lo Iannotti persona e lo Iannotti chef?
No, non c’è più una divisione netta. Esco dalla camera da letto con già addosso la giacca da chef. Ogni tanto, certo, l’angoscia della solitudine ti prende. Ricevi un riconoscimento bello e non hai nessuno con cui condividerlo. Ma cosa posso farci? Credo che per stare di fianco a uno chef ci voglia una persona che lavori con lui, o che per lui sacrifichi tutta la sua vita e gli si dedichi anima e corpo.