Per un articolo nel The Village Voice sul tema degli chef artisti ho intervistato circa una dozzina di grandi nomi del mondo gastronomico, da critici come Jay Rayner a chef come Ana Roš.
Ma il più famoso di tutti era sicuramente Ferran Adrià. Unanimemente considerato uno dei migliori chef di sempre, nel 2011 lo chef spagnolo ha chiuso elBulli per concentrarsi unicamente su progetti di ricerca.
Grazie alla bellezza delle sue creazioni è spesso stato considerato un artista. Si considera tale?
Non mi considero un artista, mi considero solo un cuoco. Questo non toglie che ci siano elementi nella produzione di certi chef che scatenano emozioni estetiche simili a quelle suscitate da alcune opere artistiche.
Chef come abili artigiani vs chef come artisti. Lei farebbe una distinzione simile, e cosa dovrebbe dimostrare uno chef per essere qualificato come tale?
Normalmente si pensa che, se si aggiunge l'etichetta di artista, il lavoro di uno chef ottenga un diverso valore. Se partiamo dalle basi, il lavoro di uno chef è dare da mangiare alle persone. Sappiamo che ci sono molti tipi di cuoco, così come ci sono molti tipi di posti dove mangiare, pubblici o privati. Nell'epoca della civilizzazione, tra le classi sociali più ricche e favorite, è nata la cosiddetta "arte culinaria", un trend che aspira non solo a sfamare, ma anche a sorprendere, dare piacere e suscitare emozioni. Questo trend ha attraversato la storia all'inizio nelle corti, e dal tardo diciottesimo secolo anche nei ristoranti. Ci sono ristoranti oggi che seguono questo trend dell'arte culinaria, e altri che fanno una cucina popolare. Ma attenzione: entrambi possono essere di alta qualità.
Pensa che tra 200 anni gli chef di oggi saranno studiati da storici della cucina?
La crescita attuale della gastronomia non ci dovrebbe far dimenticare che il tempo è l'unico giudice della trascendenza di tutte le manifestazioni create dagli esseri umani - compresa, ovviamente, la cucina. Se osserviamo [l'evoluzione] della cucina negli ultimi 100 anni, vediamo che ci sono stati molti punti importanti, come l'arrivo della nouvelle cuisine, ad esempio, o l'apparizione della cucina tecno-emozionale a metà degli anni Novanta. Da qui in poi, non sappiamo come la storia verrà scritta nel futuro.
Come professore di storia dell'arte, sono interessato nel Surrealismo e nel modo in cui provoca un senso di meraviglia e stupore che scuote le persone dal loro quotidiano: vede qualcosa di simile nel cibo?
La cucina di El Bulli è stata associata diverse volte ad alcuni movimenti della storia dell'arte. Con il Cubismo, ad esempio, parlando del nostro stile decostruttivista, o con la Pop Art, per l'inclusione di elementi della cucina popolare. Anche con l'arte concettuale, il concetto è un elemento importante nella nostra proposta gastronomica. Quanto al Surrealismo, possono esserci elementi in comune, ma credo che in questo caso, e in tutti quelli menzionati, queste siano interpretazioni o parallelismi che vengono presi dal mondo dell'arte. Penso invece che la nostra cucina sia radicata all'interno della storia della gastronomia. Questo non significa che non sia interessato all'arte, come a molte manifestazioni culturali. Inoltre, credo di aver imparato molto da quel mondo, come ad esempio la libertà creativa.
Lei e Salvador Dalì siete entrambi spagnoli ed eccellenze del vostro settore. Sente una particolare affinità con lui?
Mi piace molto il lavoro di Dalì, lo considero uno dei grandi pittori del 20esimo secolo. Sono anche sempre stato interessato nel suo modo di pensare. Non posso dire se ho una qualche affinità con lui, penso di identificarmi di più con il modo di lavorare di Picasso, Mirò, Duchamp, Hamilton.
Per Proust, il sapore che richiamava casa e l'infanzia era una madeleine inzuppata nel tè. Qual è per lei?
Ho questa sensazione con il sapore e l'odore di pane fresco, fatto da un bravo fornaio.