A Napoli la famiglia di Guglielmo Vuolo si occupa di pizza da generazioni. Già i suoi bisnonni possedevano una pizzeria in città. Oggi il maestro dell'arte bianca propone la sua pizza napoletana contemporanea non solo nel capoluogo campano ma anche a Verona e a Firenze.
Ecco cos'ha raccontato della sua storia e della sua pizza Guglielmo Vuolo, pizzaiolo e titolare delle omonime pizzerie. L'intervista di Fine Dining Lovers.
Com'è iniziato il suo percorso nel mondo della ristorazione e della pizza?
Sono nato a Napoli e tutto è stato molto naturale: i miei genitori e i miei nonni svolgevano quest'attività. Ancor prima i miei bisnonni avevano una pizzeria nei pressi di Piazza Mercato. Ad otto anni iniziai a girare tra tavoli e banco, ad osservare, giocare. Fu il primo approccio che mi fece innamorare di questo lavoro. La mia prima pizzeria è stata a Barra, poco oltre il centro della città. La aprii nei primi anni '90, quando è nato mio primogenito Enrico, e la chiamai Scugnizzo in suo onore. Di quei tempi ricordo le grandi aspettative e anche i tanti sacrifici della partenza. Tutto andò bene e in pochi anni riuscii ad aprire altri esercizi, fino a trasferirmi a Casalnuovo, una cittadina della pronvincia in cui il benessere era diffuso, a trenta minuti dal centro di Napoli.
Le aperture sono poi continuate, fino al successo di Verona. Quando è stato il vero "salto"?
Credo il cambio di passo sia avvenuto con il mio locale all'interno di Eccellenze Campane, in via Brin e poi in via Partenope, una realtà articolata e non semplice che mi ha dato grandi soddisfazioni fino al 2018. In quegli anni sono nate la Pizza all'Acqua di Mare e la Carta dei Pomodori. Ho guadagnato i miei Tre spicchi della guida Gambero Rosso ad un solo anno dall'apertura e ho visto grande affetto da parte della clientela. Quello fu soprattutto un momento di presa di coscienza di me come professionista. Un altro momento cruciale fu qualche anno prima, quando fui notato, nel mio locale Fratelli Vuolo di Casalnuovo, dalla stampa enogastronomica campana.
Con alle spalle diverse generazioni di pizzaioli, chi è stato cruciale per la sua formazione professionale?
La persona che riconosco come maestro è mio padre Enrico. I suoi numerosi allievi lo chiamavo Zio Enrico. Ho imparato tante cose anche osservando i nostri dipendenti, i nostri "operai". Infine non posso che citare mia nonna, con i suoi preziosi insegnamenti.
E cosa l'ha spita dalla Campania alla città di Verona?
La ragione è molto semplice: si è presentata l'opportunità di aprire una pizzeria con mio figlio e mi sembrò molto buona. Era il 2017, tutti stavano investendo su Milano e Verona, città viva e ricca di storia, mi sembrò un'alternativa interessante. Ho avuto ragione, Giulietta vuole bene ai Vuolo e noi a lei!
Poi l'apertura di Firenze...
Mi piaceva l'idea di tornare nel capoluogo toscano, da cui passò anche mio padre. Lo chiamavano Il bello Enrico e andò da Nuti a Santa Croce nel 1952. Anche questa città mi sta dando grandi soddisfazioni, vedo che la clientela fiorentina sta sempre più apprezzando la nostra maniera di lavorare e rappresentare l'autentica napoletanità.
Come seleziona gli ingredienti per il topping facendo attenzione alla questione dello spreco?
Facciamo del nostro meglio per ottimizzare l'utilizzo degli ingredienti. Seguire la stagionalità e preferire i fornitori di prossimità è un primo passo. La pizza napoletana classica è povera, semplice. Non richiede ingredienti sofisticati ma di grande qualità come pomodoro e olio extravergine d'oliva. Nella mia famiglia si è sempre cercato di ridurre al massimo gli scarti. Mio padre apprezzava la scorza delle forme di Parmigiano Reggiano da grattugiare, per fare il primo esempio che mi viene in mente.