“Quali sono le storie dei protagonisti dietro i piatti dei grandi ristoranti italiani? Come lavorano gli chef?”
Trovare una risposta a queste domande è stato l’intento di Giuseppe Ippolito (qui il suo sito), fotografo di ritratto nato a Novara nel 1987 e basato a Milano, che attraverso il progetto Food Stories ha voluto svelare con taglio reportagistico la realtà di alcune cucine italiane e internazionali. “Raccontare storie non significa mostrare il risultato finale, e cioè il piatto, bensì il vissuto, la personalità, la storia e il contesto che lo hanno generato”.
Con un ritratto allo chef Francesco Mazzei (chef calabrese che vive a Londra), immagine che fa parte di questo progetto, Ippolito è stato selezionato quest’anno nella categoria Production Paradise Food off the Press all’interno del premio Pink Lady® Food Photographer of the Year.
Incuriositi dalle sue immagini e affascinati da un mondo poco mostrato, abbiamo voluto conoscere di più il suo progetto, partendo proprio dalla genesi di Food Stories.
Qui la Gallery con i suoi scatti e di seguito l'intervista
Come nasce questo progetto?
È nato quasi per caso. A Londra ho avuto l’occasione di conoscere Francesco Mazzei che stava per iniziare il suo viaggio con il ristorante Sartoria. Mi ha mostrato la cucina e quel contesto mi ha ispirato a realizzare quello che poi è diventato “Food Stories”, un insieme di persone che lavorando creavano un ritmo perfetto, fatto di tempi, simmetrie e gesti precisi. Mi interessava indagare il mondo delle cucine senza fotografare i piatti, lasciando alle persone tutta la scena. Mi è sembrato giusto dare spazio alla vita della cucina, che spesso sembra meno dura di quello che è. Il modo migliore era sicuramente realizzare un reportage durante un servizio vero e proprio in modo che il racconto fosse composto da scatti del tutto spontanei.
Con che criterio ha scelto chef e ristoranti da raccontare?
L’idea è stata quella di individuare delle realtà diverse l’una dall’altra, dal ristorante stellato alla pizzeria, dagli chef affermati a quelli emergenti. tutti avevano una storia particolare ed interessante da raccontare, ognuno un modo di lavorare e un approccio alla cucina completamente unico, e li ho scelti proprio per questo motivo.
Qual è stato l'aspetto più difficile?
La parte più complessa è stata quella di garantire un elevato livello di fotografie e contemporaneamente diventare invisibile durante la realizzazione del reportage. Quasi tutti gli chef temevano infatti che la mia presenza potesse ostacolare il loro lavoro, specie perché chiedevo di effettuare le foto durante il servizio in cucina per loro più impegnativo. Ci tengo molto a non influenzare o manipolare minimamente la scena per avere nel racconto la pura realtà.
Come pensa si evolverà questa ricerca?
Stando all’interno delle cucine ho avuto modo di entrare in contatto con moltissime realtà e ho cominciato ad allargare il mio raggio d’interesse. Credo che il prossimo passo sarà quello di aprire il progetto alle realtà dei produttori, un mondo altrettanto interessante poiché ci si trova molta dedizione, il tempo si dilata e sembra quasi di rapportarsi con un altro mondo.