Continuano e diventano sempre più emozionanti le lezioni e le masterclass di Identità Golose 2019. Venite a scoprire gli incontri e gli appuntamenti che hanno vivacizzato la seconda giornata del Congresso.
Andrea Berton, Massimo Bottura, Carlo Cracco e Davide Oldani rendono omaggio ad Alain Ducasse
Andrea Berton, Massimo Bottura, Carlo Cracco e Davide Oldani insieme sul palco di Identità Golose per rendere omaggio ad Alain Ducasse.
“C’è uno spirito comune che unisce la cucina francese e quella italiana – ha detto emozionato Alain Ducasse -. Mi sono sempre ispirato all’Italia per la mia cucina che faccio a Monaco…anzi diciamo che sono partito dalle vostri base e le ho migliorate” dice scherzando lo chef Ducasse, strappando un sorriso alla platea. “Quando apro ristoranti in giro per il mondo, interpreto ciò che la natura dona in quel preciso luogo – ha continuato Ducasse - I cuochi sono sempre in competizione, ma è un modo per ricercare la perfezione”.
Il primo omaggio al grande chef francese è dello chef stellato Andrea Berton. “L’esperienza al Le Louis XV è stata fondamentale perché mi ha fatto capire cosa fosse la cucina a livello imprenditoriale – ha spiegato lo chef Berton –. Quando arrivai nel 1993 da Ducasse, per 3 mesi ho tornito verdure e il piatto di oggi parte da questo ricordo”.
Lo chef crea una base di patata con un foro al centro, che viene riempito con verdure – carote zucchine fave piselli – tagliate a brunoise. Si completa con un brodo di asparagi e tartufo nero, lamelle di tartufo nero e aceto balsamico. “Un piatto buonissimo che sublima le verdure” ha detto Alain Ducasse dopo l’assaggio.
“Ducasse mi ha trasmesso l’importanza del rigore – ha raccontato lo chef Carlo Cracco - Se lavoravi con lui, ogni giorno dovevi essere perfetto. Ci faceva sempre ragionare sui piatti e ci faceva crescere come persone. Ricordo con grandissimo piacere l’anno e mezzo vissuto al Le Louis XV”.
I protagonisti dell'omaggio a Ducasse - credit: Annalisa Cavaleri
L’omaggio di Cracco è una crema di spugnole ridotta con qualche lamella di tartufo bianchetto, abbinata a pere marinate e leggermente fermentate. Per finire, noci cotte nel latte e fatte asciugare nell’essiccatore.
È un ricordo emozionato anche quello di Davide Oldani, che ripensa per la sua creazione il pomodoro. “Ricordo che, quando lavoravo da Ducasse, creavamo un’acqua di pomodoro molto chiara, in contrasto con le salse rosse al pomodoro italiane – ha raccontato Davide Oldani -. Da qui l’ispirazione per il mio omaggio”.
Il piatto di Oldani, che punta sulla qualità degli ingredienti, è un trancio di rombo, condito con l’acqua di pomodoro filtrata con un telo di lino. Per finire, servito a parte, un semplicissimo spaghetto condito con olio extravergine di oliva. “Il cuoco deve preservare la perfezione della natura” ha commentato lo chef Ducasse.
Gran finale con Massimo Bottura che ha presentato i suoi ravioli con ripieno di porri, tartufo nero e foie gras.
“Per me il raviolo è un contenitore di idee e questo piatto rappresenta il sogno di un cuoco francese di fare la pasta come un italiano” scherza Massimo Bottura.
“Nel mio raviolo inserisco il meglio della cucina francese – porri, foie gras e tartufo nero - mentre all’esterno c’è la perfezione della pasta fatta come solo un italiano sa fare”. Il piatto viene finito con una salsa dolce acidula a base di ristretto di Riesling.
“Ducasse mi ha trasmesso la disciplina ancor più della scuola spagnola – ha concluso Massimo Bottura -. Per me la folgorazione è stata la sua ossessione per la qualità. Ricordo ancora che, quando uscii dal Louis XV, Ducasse mi stracciò tutti gli appunti e mi disse: Hai imparato le tecniche, ora devi camminare con le tue gambe. Al momento non capii, ma oggi sono ancora qui a ringraziarlo”.
La nuova vita di Rognone e Ostrica di Carlo Cracco
Carlo Cracco - Credit: Annalisa Cavaleri
Rognone e Ostrica torna a nuova vita. Il piatto creato dallo chef Carlo Cracco in occasione dell’evento Le Fooding nel 2010 cambia pelle ma mantiene la stessa forza. Il rognone – crudo nel piatto originario - viene sgrassato del tutto, scottato con un pizzico di aceto e scolato. Poi viene ripassato in padella in bianco con burro e salvia, e messo sottovuoto. La cottura dura un’ora alla temperatura di 58 gradi. L’ostrica, fredda e cruda, viene poi tritata al coltello, e aggiunta al rognone tritato e raffreddato. Si mischiano i due ingredienti e si aggiunge il liquido dell’ostrica e un po' di prezzemolo. Il composto viene inserito in stampi di silicone che sembrano piccoli sassi, poi glassati con una salsa a base di di ostriche frullate. Il risultato finale? Ostriche e rognone che sembrano sassi screziati appena usciti dal mare.
“Il rognone non manca mai nel nostro menu – spiega lo chef Cracco - è un ingrediente polivalente che si presta a tantissime interpretazioni. Ci sono voluti anni perché capissi l’importanza di questo ingrediente”.
La scintilla creativa di José Avillez
José Avillez - Credit: Annalisa Cavaleri
Apre decine di ristoranti all’anno e ha “colonizzato” un colorato quartiere di Lisbona con ben 12 ristoranti. José Avillez, due stelle Michelin nel suo ristorante Belcanto aperto nel 2012 con la mission di rivistare la cucina portoghese, ha 600 dipendenti ma è sempre protagonista in prima persona nel processo creativo perché “la creatività – dice – è la scintilla che ci porta avanti e non può spegnersi mai”.
“Solo gli esseri umani sanno raccontare storie - spiega José Avillez – e raccontare storie è l’unico modo per creare nuove memorie”. Come piatto ha presentato una creazione che ricorda il pesce alla griglia cucinato dai ristoranti sul mare. Qui, però, il viene branzino cotto a bassa temperatura, a 54 gradi sottovuoto, e decorato con una crema di avocado affumicata, che ricorda le scaglie del pesce. Nel piatto viene inserito anche un brodetto di pesce che ricorda la scoperta del Giappone. Per esaltare il sapore, pistacchi grattugiati e scorzonera cotta in burro nocciola. “Ogni singolo ingrediente di questo piatto racconta una storia del passato e crea nuove storie” conclude lo chef.
A Paolo Griffa il Premio Radici Future
Va al giovane Paolo Griffa, Executive dell'Hotel Royal e Golf di Courmayeur e S.Pellegrino Young Chef 2015, il Premio Radici Future di Identità Golose 2019.
"E' un riconoscimento che mi riempie di gioia proprio perché è un Premio che guarda al futuro - spiega Paolo Griffa -. Per me e il mio team è fondamentale sapere che, anche all'esterno, viene percepito che stiamo facendo bene. Il Premio Radici Future ci regala tanta positività e voglia di migliorarci sempre. Per costruire nuove memorie servono radici forti, tanta tecnica e uno sguardo pieno di fiducia rivolto all'orizzonte".
Alessandro Negrini e Fabio Pisani: il piatto di pasta al pomodoro che tutto il mondo ha in testa
Alessandro Negrini e Fabio Pisani - Credit: Annalisa Cavaleri
Un’idea retrò che guarda al futuro. Sempre creativi e fuori dagli schemi, Alessandro Negrini e Fabio Pisani del bistellato Il Luogo di Aimo e Nadia di Milano, hanno ripensato lo Spaghetto al Pomodoro Anni Ottanta.
“Si tratta di spaghetti scolati in bianco come la faceva mia mamma, conditi al momento con salsa fatta con burro d'alpeggio, cipolla bianca e concentrato di pomodoro fatto a mano siciliano. Tocco finale, Parmigiano grattugiato 24 mesi – spiega Alessandro Negrini - Mangiare la pasta in bianco con il pomodoro sopra è il modo migliore per degustarla. Per questa edizione abbiamo voluto proporre il piatto di pasta al pomodoro che tutto il mondo ha in testa. Tornare indietro nel tempo è necessario per recuperare nuove memorie”.
Ezra Kedem e la ricetta che unisce le culture
Ezra Kedem - credit: Annalisa Cavaleri
Ha iniziato a cucinare a 13 anni perché la mamma si ammalò e prepararsi il pranzo da solo era l’unico modo di mangiare. Ezra Kedem è uno chef israeliano che ama molto l’Italia e pensa che le orecchiette pugliesi abbiano origini ebraiche. Il nonno di Ezra arrivò in Israele nel 1907 in sella a un somaro e da lì iniziò tutto.
"Cerco di lavorare il più possibile con la legna per dare alle pietanze gli aromi giusti – ha spiegato Kedem -. Israele è una terra multiculturale ma la mia cucina è la lingua che unisce tutti”.
Per Identità di Pasta ha pensato a un piatto di orecchiette condite con una salsa a base di cipolle, pinoli, uvetta, cipolla bagnata con aceto e fagioli di Gerusalemme che devono cuocere per 2 giorni. L’idea è quella di racchiudere nel piatto influenze da tutto il mondo, dalla pasta italiana alla dolcezza dei sapori israeliani. Si aggiunge, per finire, la triglia, ingrediente molto presente anche nella comunità ebraica di Roma.
Come secondo piatto, la zuppa di fagioli di Gerusalemme che, per tradizione, si mangia il venerdì. Lo chef parte da un soffritto classico - con sedano timo cipolla alloro e carote – aggiunge tanto pomodoro, e fa cuocere a lungo con i fagioli. Alla fine unisce i maccheroni. “Un piatto vero che ci connette con la terra” ha spiegato lo chef.
Massimiliano Alajmo: n’uovo è una ricotta?
Massimiliano Alajmo - Credit: Annalisa Cavaleri
“La materia è la vera parte illuminante, da lì parte tutto – parte deciso Massimiliano Alajmo, patron tristellato de Le Calandre di Rubano -. Non serve qualcosa di nuovo ma una nuova visione sulle cose”. E, nella sua visione, un uovo diventa una mozzarella e una ricotta che diventa un uovo.
“E’ nato tutto frullando un bianco d’uovo sodo per le mie figlie – spiega Massimiliano Alajmo -. Assaggiandolo alla cieca l’hanno scambiato per ricotta. La consistenza le ha “distratte” ma il motivo tecnico è che le proteine dell’albume sono simili a quelle del latte”.
Per questo piatto, l’uovo sodo viene passato intero due volte al setaccio e condito con un filo d’olio, un pizzico di sale, un condimento balsamico alla rosa, pepe nero di Sarawak e zafferano. L’impasto si mischia e si inserisce nelle fascine che di solito contengono la ricotta. Questa “ricotta d’uovo” dal colore giallo intenso si accompagna con gamberi rossi a crudo e una salsa d’ostrica profumata al bergamotto. Per finire, piccole alghe e salsa di asparagi. Sulla “ricotta d’uovo” viene aggiunta una generosa cucchiaiata di caviale.
La seconda preparazione è una mozzarella che diventa uovo. A 80 gradi, infatti, la mozzarella infatti torna ad essere filante e si può rimodellare come una sfera. All’interno lo chef inserisce due salse, una alle cime di rape e una di tartufo nero. Il finto uovo di mozzarella esploderà in bocca con tutto il suo sapore.
“Il mio messaggio finale? Cercare la bellezza sempre – conclude Alajmo -. Se ci facciamo catturare dalla bellezza, vivremo in un mondo di poesia”.
Gino Sorbillo protagonista dello story table di S.Pellegrino
Gino Sorbillo allo stand di S.Pellegrino - Credit: Mariarosaria Bruno
“Ho creato l’impasto della pizza con una percentuale di acqua S.Pellegrino”, ci ha raccontato Gino Sorbillo, protagonista del giorno dello Story Table allo stand di S.Pellegrino. “Ho voluto dare una nota fresca a questo impasto, per dimostrare che c’è sempre stato un legame tra la pizza della tradizione e l’acqua S.Pellegrino, che è un’acqua storica, con un grande passato, proprio come la pizza napoletana”, ha proseguito.
“Il valore aggiunto di questa creazione è dato dalle bollicine, impercettibili, ma capaci di caratterizzare delicatamente il prodotto finale”, ha affermato. Ed ecco una pizza fritta, la cosiddetta montanara napoletana, farcita con una salsa preparata con il pomodoro di San Marzano cotto a lungo - “una sorta di ragù”, ha precisato Sorbillo - e spolverata con Parmigiano Reggiano Malandrone 36 mesi o mozzarelline di bufala da 20 grammi. “L’acqua minerale si usa spesso per preparare le pastelle per la frittura”, ha ricordato Sorbillo.
“È la prima volta che faccio questo esperimento, inviterei altri pizzaioli a provare, perché l’acqua minerale può dare quel tocco magico che rende unici i piatti, proprio come nelle creazioni dei grandi chef”.
Il risultato? “Una pizza più fragrante al morso, anche perché le bollicine dell’acqua stimolano la lievitazione. Proverò lo stesso impasto per la pizza cotta nel forno, ma ci tenevo a portare qui la pizza fritta, perché è un prodotto che sta vivendo un momento di riscatto ed è forse più antico della pizza al forno: abbinarla all’acqua S.Pellegrino per festeggiare i suoi 120 anni mi è sembrato significativo”, ha concluso il pizzaiolo.
Alberto Gipponi, una sorpresa fuori dagli schemi
Lo chef Alberto Gipponi - Credit: Mariarosaria Bruno
Ha inaugurato le lezioni di Nuove Identità, la sezione dedicata ai talenti emergenti, Alberto Gipponi del ristorante Dina di Gussago, in provincia di Brescia, “Sorpresa dell'anno” della guida di Identità Golose 2019. Uno chef che ha scoperto di essere cuoco a 35 anni, dopo una vita trascorsa a lavorare nel sociale, come ha raccontato.
“Piacere, sapere, indifferenza e saggezza sono i quattro passaggi del gusto. L'esperienza gastronomica deve essere appagante e, anche se non piace un piatto durante una cena, pazienza!”. Ecco spiegato il titolo del suo intervento, Malmostosi al ristorante e l'estetica del gusto. “L'esperienza deve essere uno scambio di piacere”, ha aggiunto il vulcanico chef, che si è concentrato su una lezione teorica.
L'estetica? “Osservando La Pietà Rondanini ho visto profondità, c'è un percorso, una sovrapposizione di idee e opere e ho pensato agli ultimi 20 anni della cucina: prima di noi c'è stato Marchesi, la Francia con le sue influenze, oggi ci sono anche l'Oriente, il Sud America e chef come Massimo Bottura, René Redzepi, i fratelli Roca, Ferran Adrià che sono dei punti di riferimento”, ha proseguito.
E a proposito dell'idea del bello, lo chef ha anticipato che sta lavorando a un menu che racconta l'evoluzione del bello dal passato sino ad oggi. “La Pietà Rondadini è ancora bella, ma una volta che l'hai mangiata devi scegliere un ingrediente e creare nuove combinazioni”. Ed ecco la sogliola, che incarna l'idea del bello secondo Gipponi, mostrata in purezza, con una crema di carcasse di pollo arrosto al limone nascosta alla base, o declinata in un piatto che è un omaggio fatto ai grandi chef e ai loro ristoranti da altri cuochi (Gipponi, tra gli altri, ha citato Riccardo Canella, Davide Caranchini e Oliver Piras per il Noma; Terry Giacomello, Stefano Baiocco e Federico Zanasi per El Bulli).
“Mi sono segnato una frase di Davide Oldani: Sono molto affamato, ma non sono mai stato goloso”, ha aggiunto. “Questa frase è come un manifesto, significa che dobbiamo crescere insieme, amare ciò che facciamo, ma condividerlo, perché è di tutti”. All'assaggio, al pubblico, lo chef ha proposto il suo Casoncello crudo ma cotto (una pasta fresca apparentemente cruda), con ripieno di passatelli e midollo preparato da Gianluca Gorini e Paolo Lopriore. “Dobbiamo unirci, il confronto è fondamentale per crescere, non bisogna avere aspettative altissime, stiamo parlando di mangiare in fondo, bisogna essere liberi e leggeri”, ha concluso.
Gonzalo Luzarraga e le sfumature delle alghe
Lo chef Gonzalo Luzarraga - Credit: Mariarosaria Bruno
Scorre sangue spagnolo e italiano nelle vene di Gonzalo Luzarraga, chef del Rigò di Londra (che a breve avrà una nuova sede a Persons Green, un'estensione di Chelsea), nato in Cile, ma con formazione culinaria italiana. Ha spiegato che ha dovuto faticare un po' a far capire alla clientela londinese che il suo non è un ristorante italiano in termini tradizionali. “Per questo ho deciso di tradurre in inglese gli ingredienti italiani nel menu, senza cambiare l'impostazione, in modo da trasmettere un concetto diverso rispetto alle aspettative, più internazionale”, ha spiegato.
Ha esordito preparando un piatto di enoki (funghi giapponesi) saltati al burro tagliati molto sottili, con Grana Padano e tartufo. “Gli enoki hanno un gusto molto umami e l'abbinamento col tartufo crea un'esplosione di sapori al palato”, ha affermato.
Molto interessante il suo risotto, secondo piatto che ha presentato: preparato con aglio nero, fermentato con miele d'acacia per 14 ore, e completato con alghe fermentate provenienti dal nord dell'Inghilterra. “Queste alghe, nello specifico, crescono nel nord della Scozia solo in alcuni periodi dell'anno e una, in particolare, ha il sapore del tartufo. Sono sette alghe diverse, con intensità di iodio diversa, che ho passato al vapore”, ha precisato.
In merito all'aglio nero, con il suo caratteristico gusto di liquirizia, ha raccontato: “Ho provato a fermentarlo con diversi mieli, facendo un po' di esperimenti, ma quello di acacia conferisce maggiormente la nota di liquirizia”. Lo chef ha chiuso la lezione con un terzo piatto, molto sapido e gustoso: una pluma iberica al sangue, “recuperata da un produttore spagnolo che ha un maiale molto giovane, frollata dentro la cera per 30 giorni”, ha precisato, cui ha abbinato le ostriche, la crema di pastinaca e il broccolo. Un incontro gustoso tra dolce e salato, tra terra e mare.
Diego Rossi: della pecora non si butta via nulla
Lo chef Diego Rossi - Credit: Mariarosaria Bruno
Debutta sul palco di Identità Golose la nuova sezione Identità di Carne. Non poteva che esordire con lo chef Diego Rossi di Trippa, la trattoria che ha fatto impazzire i milanesi. “Mangio pochissima carne, ma ho deciso di portare ciò che facciamo d'abitudine: valorizzare tutti i tagli, senza buttare via nulla”, ha raccontato.
Ed ecco tante, diverse, declinazioni della pecora. “Di solito uso la pecora al posto del capretto sia per motivi etici sia perché ha un costo inferiore: ha un sapore molto delicato, che nella tartare spingo mettendoci del grasso, su cui si fissano gli aromi. La porto a 15-20 gradi per toglierla dal freddo e far percepire meglio i sapori”. Lo chef ha dunque preparato una tartare condita solo con olio e sale. Con le cervella bollite, invece, ha realizzato una maionese, con cui ha sporcato un'altra tartare di pecora, rinfrescata dalla nota della scorza di cedro.
Le lezione di Rossi è proseguita con un altro taglio per creare un altro piatto: la spalla. “Aromatizzata con fette di limone per dare acidità, sale, foglie di menta, timo, olio all'aglio, olio extravergine d'oliva, la chiudiamo nella carta stagnola e la cuociamo a 250 gradi per 3 ore”, ha spiegato. Una volta cotta, lo chef ha sfilacciato la spalla con la forchetta per mescolare parti magri e parti grasse, poi l'ha messa in una casseruola aggiungendo il tamaro, un mix di spezie vicentino, e menta fresca. “E' una sorta di pulled pork di pecora”, ha commentato Rossi.
Non sono mancati richiami alla cucina sarda, dove i sapori ovini sono di casa. Così, con un ragù realizzato con la pancia della pecora, insaporito con cumino, lo chef ha mantecato la fregola, con l'aggiunta di limone per sgrassare.
Rossi, poi, si è cimentato nella realizzazione della crepinette di pecora. “Aggiungiamo fegato e rognoni alle parti della coscia non usate per fare la tartare, formaggio di pecora, pane ammollato nel latte, pecorino e peperone affumicato”, ha spiegato. Ha accompagnato la crepinette con crema di pere, pepe e brodo e con i tipici marasciuoli dalla Puglia, una varietà di senapi, e lampascioni sott'olio, sempre dalla Puglia. Il tutto finito con il fondo all'aceto invecchiato: “Una nota acida che serve per sgrassare”, ha commentato. Il risultato è un piatto completo, che presenta l'acido, l'amaro, il dolce e il piccante del pepe.
Le declinazioni della pecora non sono terminate: se con il collo, che è una parte dura, ha realizzato un bollito, presentato nel suo brodo con le patate, con il cuore della pecora ha preparato un altro piatto: dopo averlo cotto a bassa temperatura, lo ha passato sulla brace, quindi cotto con una pianta brassicacea di origine campana, con aglio, peperoncino fresco. Con le foglie di aglio orsino, cotto in padella con olio e allungato con il brodo di pecora, ha preparato una purea d'accompagnamento. Il tocco finale? L'aringa affumicata, “che dà una nota umami e avvolgente”. In chiusura lo chef si è cimentato con il midollo, cotto alla brace, con filettino crudo e tartufo bianchetto. Per non farsi mancare nulla.