La Macelleria Falorni è una delle macellerie storiche italiane: aperta nel 1809 a Greve in Chianti, suggestivo borgo nel chiantigiano, viene ancora gestita dalla stessa famiglia. «Siamo la nona generazione di Falorni nella macelleria» dice orgogliosamente Stefano Bencistà Falorni «C’eravamo quando il Chianti era una campagna povera e sconosciuta e ci siamo oggi che attira turisti da tutto il mondo. Il mi’ babbo diceva sempre che, continuando a lavorare bene, un giorno sarebbero venuti a cercarci. Aveva ragione».
Impossibile, parlando con Stefano, prescindere dalla storia di famiglia. E dagli aneddoti di un’infanzia felice, passata tra pentoloni di stufato, conserve allineate sulle mensole e rimproveri della nonna. Tutte questo è ora diventato un
Racconti inscindibili dal cibo - e dalla «ciccia». «Da noi si mangiava carne tutti giorni. Il lunedì cervello di maiale, il martedì fegato di vitello, il mercoledì budella di maiale, il sabato bollito … sempre uguale, una settimana dopo l’altra». E se a qualcuno la carne non piaceva, come è successo a un fratello di Stefano? «Era un grosso problema. La mi’ nonna gli doveva sempre cucinare a parte. Quanti fagioli si mangiava, porello».
La nonna è una figura onnipresente nel libro, sempre intenta a cucinare e prodiga di perle di saggezza dialettali. «A voler che l’amicizia si mantenga, un panierino vada e uno venga» diceva a Stefano quando non voleva andare a messa. Ovvero: tu vai a messa e io ti ricompenso adeguatamente. Come? Con l’arrosto di maiale al latte che ti piace tanto. E di cui troviamo la ricetta nel libro, insieme ad altri piatti della tradizione familiare dei Falorni, come la schiacciata all’uva «che mi compravo quando andavo al cinema con 70 lire. Una festa».
Cucina toscana, piatti genuini e veraci, come quelli serviti oggi nella risto-bottega Falorni. L’Antica Macelleria Falorni non si limita a vendere ma prepara anche zuppe, carpacci e taglieri di affettati per chi vuole godere dell’atmosfera sospesa di Greve in Chianti. Se i Falorni hanno resistito ai secoli, alla guerra, alle mode veggie, lo devono alla straordinaria qualità dei loro prodotti: frutto di un legame strettissimo con il territorio e soprattutto con i produttori.

La prefazione del libro è stata scritta da Carlo Petrini, fondatore di Slow Food e grande amico di Stefano. E il ricavato del libro, tra poco in vendita nelle edicole di tutta Italia, andrà al progetto Diecimila Orti in Africa di Slow Food.