“Abbiamo pensato di rendere a Bergamo, e alla sua comunità, quello che ci ha sempre dato negli anni”. In una delle province più colpite dal Coronavirus, le parole riconoscenti dello chef Enrico Cerea, tre stelle Michelin al ristorante Da Vittorio a Brusaporto, a pochi chilometri dalla città orobica, risuonano come un balsamo per lo spirito. Così commenta l’appello accorato che ha lanciato sui social il 18 marzo a nome di tutta la famiglia Cerea, pilastro della ristorazione italiana, impegnata in prima linea a sostegno dell’emergenza.
Chicco, come lo chiamano tutti, nel post aveva chiesto donazioni di generi alimentari, offrendosi volontario per cucinare i pasti destinati al personale sanitario occupato nella realizzazione dell’Ospedale da Campo degli Alpini, nell’area dell’Ente Fiera di Bergamo. Da allora sono stati fatti passi avanti, ogni giorno cucina per la mensa della struttura, che in tempo record è stata allestita, e i primi pazienti affetti da covid-19 sono stati trasferiti nei nuovi spazi, dall’ospedale Papa Giovanni XXIII.
Abbiamo sentito lo chef tristellato, per sapere qualcosa di più su questa esperienza. Ecco la nostra intervista a Enrico Cerea.
Cosa l’ha spinta a fare l’appello, qual è stata la molla che è scattata?
Tutto è nato quando ho saputo che sarebbe stato realizzato un ospedale da campo nel padiglione della Fiera dove noi operiamo spesso e volentieri: dal momento che il ristorante non è aperto, ho pensato di rendere a Bergamo, e alla sua comunità, quello che ci ha dato sempre. Così, ho sentito la Protezione Civile e ci siamo organizzati: abbiamo preso coscienza della logistica per organizzarci, ma mancava solo il cibo. A quel punto ho deciso di lanciare l’appello.
Qual è stata la risposta, ve la aspettavate?
Più di mille aziende ci hanno contattato, abbiamo dovuto provvedere subito a magazzini nuovi per conservare la merce arrivata. Per fortuna, la famiglia Bellini dell’azienda Italtrans di Calcinate ha messo a disposizione i suoi bancali e da lì è iniziato tutto. Solo per Pasqua abbiamo ricevuto 15 mila colombe, 12 mila uova di cioccolato, non solo da aziende, ma anche da maestri pasticceri. C'è stata una grandissima risposta, la difficoltà è stata bloccare gli arrivi degli alimenti e, visto che questa situazione si protrarrà nel tempo, e noi abbiamo dato disponibilità fino ad agosto, abbiamo pensato a una soluzione per evitare gli sprechi di cibo: l’8 aprile abbiamo lanciato una nuova iniziativa.

Di cosa si tratta?
Ho reperito 12 mila cartoni, gli Alpini e i volontari del Comune di Bergamo ne riempiranno 300-400 alla volta, per distribuirli alle famiglie bergamasche. Abbiamo strutturato un’organizzazione, in modo da gestire il tutto: diamo la precedenza all’Ospedale da Campo in Fiera, poi alle strutture alberghiere adibite a ricovero dei malati, quindi alle famiglie più bisognose. Sono due iniziative nate spontaneamente, senza sapere a cosa saremmo andati incontro, e invece si sono rivelate due esperienze molte belle e importanti, di cui siamo fieri. Mi ha commosso vedere quanta merce abbiamo ricevuto, a fine mandato raccoglierò i dati e quantificherò le tonnellate di cibo che stanno arrivando a sostegno della nostra iniziativa.
Come ha organizzato il lavoro?
All’Ospedale da Campo, tra cuochi, inservienti e personale d’ufficio per la logistica, lavoriamo in quindici, alternati su due turni. Ogni giorno prepariamo i pasti per circa 150-200 persone, dalla colazione al pranzo e alla cena. È impegnativo, ma molto bello... Forse lavoro più di prima! (ride, ndr). Non ho momenti di relax e di stacco, anche perché poi, soprattutto in questo momento pre-pasquale, sto seguendo il delivery del ristorante, Da Vittorio At Home: un servizio di consegna a domicilio che facevamo già in tempi non sospetti, ma che ora è letteralmente decollato, anche per Pasqua.

Qual è la sua giornata tipo?
Tutti i giorni mi sveglio prima del solito, alle 7.15, alle 8 sono in sede al ristorante Da Vittorio, dove organizzo il delivery con i ragazzi della brigata. Passo quindi alle cucine in Fiera, per vedere come procede il lavoro, poi mi sposto ai magazzini dell’Italtrans per la gestione dei pacchi, saluto tutti e bevo un caffè, quindi torno al Da Vittorio, pianifico gli ordini e i giorni successivi.
La famiglia Cerea ha una grande esperienza nel catering: quanto è servita per la gestione di questa emergenza?
Sì, ci è servita molto, soprattutto perché nel catering c’è un’adattabilità e un’elasticità che non sono caratteristiche tipiche di una cucina fine dining, mirata all'obiettivo. Per esempio, se ordino le coste e invece mi arrivano gli spinacini, nessun problema: cambio la ricetta e preparo gli spinaci al burro. Per gestire una situazione di questo tipo devi essere bravo ad adattarti all'imprevisto, anche perché - tra l’altro - in questo momento i prodotti non arrivano sempre e non vengono consegnati con la stessa frequenza di prima.
Cosa pensa vi porterete dentro da questa esperienza, quale arricchimento?
La gioia di riuscire a essere utile, prima trovavo la gioia nel cucinare per la gratificazione della clientela, adesso invece cucino per regalare felicità sia a chi si rivolge al delivery sia agli operatori in Ospedale, che vengono in mensa e che possono vivere un momento di serenità.

Che effetto fa vedere Bergamo in questa situazione d’emergenza?
È ed è stato un momento molto triste e toccante, quasi tutti noi siamo stati colpiti da questa brutta bestia che è il virus, stiamo vedendo situazioni non belle: i camion che portavano via le salme è qualcosa di struggente, ma penso che è capitato a Bergamo che ha avuto la forza di reagire, perché ce l’ha nel dna, per noi bergamaschi lavorare è un hobby, una passione, è qualcosa che ci fa sentire utili. Resta solo un interrogativo: perché si è sviluppato in modo così scellerato da noi?
Dopo questa esperienza pensa che cambierà qualcosa nella vostra attività?
Senz'altro, inizialmente sì: i tempi e i riti saranno diversi, dovremo abituarci a procedure e protocolli a cui non siamo abituati, e che sono difficili da far rispettare, ma dovremo adattarci per forza. Non so se prenderemo coscienza di questa situazione o ce ne dimenticheremo subito: spero che l’insegnamento che Madre Natura ha voluto darci rimanga nel tempo.
Una sua riflessione sul ruolo dell’alta cucina nell'emergenza: possiamo dire sia diventata più “umana”?
Dal punto di vista personale no, perché noi - come famiglia - oltre ad avere il ristorante Da Vittorio, abbiamo cucinato per tante mense aziendali con un’altra nostra attività, che è più pop. È lì che ti accorgi che anche con una pasta al pomodoro fatta bene puoi regalare un sorriso: chi è abituato a lavorare bene, lavora bene in ogni situazione, mentre chi lavora male, che faccia fine dining o no, lavorerà sempre male, con le cose "fatte tanto per fare", e non proverà mai gratificazione. Il bello di trovare soddisfazione è questo: anche se si fa fatica, non si avverte, perché si trae gioia dal proprio lavoro.

Quando usciremo dall'emergenza qual è la prima cosa che vorrà cucinare?
Sto cucinando tutti i giorni in Ospedale: abbiamo preparato piatti come le pennette alla boscaiola o i tortini di melanzane con scamorza affumicata… Ma, quando finirà tutto, non vedo l’ora di fare una bella grigliata familiare, con un buon vino rosso in abbinamento o due belle bolle.