“Non siamo unicorni, ma zebre: crediamo nello sviluppo lento e progressivo delle startup”. Ha solo 30 anni, ma parla con la maturità di un imprenditore navigato Corrado Paternò Castello. Il giovane catanese è l’unico italiano presente nella rosa internazionale dei talenti innovatori del food premiati da 50 Next, la lista di nomi stilata da 50 Best in collaborazione con il Basque Culinary Center, che comprende persone entro i 35 anni identificate come pionieri e future stelle del mondo della gastronomia in generale: dai produttori agli educatori, dai tecnologi agli attivisti.
Corrado viene annoverato tra i Gamechanging producers, un importante riconoscimento che ha conquistato grazie a Boniviri, l’azienda che ha fondato nella sua città assieme ad altri tre soci (Sergio Sallicano, Alessandra Tranchina e Davide Tammaro). Si tratta di una startup innovativa che supporta e promuove una rete di piccoli produttori artigianali siciliani: un’attività fondata sulla promozione della qualità e delle pratiche sostenibili. “Boniviri significa “persone di valore” e si riferisce ai nostri agricoltori partner”, spiega il giovane imprenditore.
Ecco cosa ha raccontato Corrado Paternò Castello a Fine Dining Lovers.
Il giovane team di Boniviri
È stato annoverato tra i giovani leader del cambiamento enogastronomico mondiale: che effetto fa?
È una bella soddisfazione, più che a livello individuale, a livello di squadra, anche perché Boniviri l’ho fondata con un team di soci (Sergio Sallicano, Alessandra Tranchina e Davide Tammaro). L’evento di premiazione a Bilbao è stato bellissimo: ho incontrato imprenditori e chef che lavorano in tanti ambiti della gastronomia, è stata una bella occasione per fare networking, abbiamo avuto la possibilità di confrontarci su temi molto caldi, su cui puntiamo come azienda: le tradizioni gastronomiche dei diversi Paesi e il rispetto della diversità anche attraverso il cibo, la sostenibilità della filiera, le alternative alla carne provenienti dal mondo vegetale. Insomma, tutti temi legati alle innovazioni del mondo della gastronomia.
Ci racconta il suo percorso professionale?
Sono cresciuto nel campo della sostenibilità e dell'innovazione sociale, poi ho lavorato come consulente per grandi aziende multinazionali, ho preso parte a un progetto europeo sui temi dell’agricoltura, poi ho fondato Boniviri, il 10 luglio 2020, quando avevo 28 anni.
Di cosa si occupa Boniviri e come è nata?
Si tratta di una rete di piccoli agricoltori di valore: assieme a loro lavoriamo per migliorare le pratiche in campagna in ottica di sostenibilità e qualità. E con il nostro brand commercializziamo i loro prodotti: vendiamo soprattutto a ristoranti, aziende, grandi realtà distributive come la Rinascente, per esempio, ma anche gastronomie ed enoteche. Vogliamo essere il punto di riferimento per la dispensa sostenibile, una soluzione per chi cerca prodotti agricoli di altissima qualità, salutari e sostenibili, appunto: dalle spezie all’olio dell’Etna, dal miele di zagara all’olio extravergine della tonda iblea, dalla mandorla pizzuta d’Avola alle spezie ed erbe aromatiche dell’Etna come l’elicriso, lo zafferano, la lavanda, oltre ai vini dell’Etna. Ci sono produttori affiliati, che sono partner dell’iniziativa, con cui abbiamo un accordo quadro, in tutta la Sicilia. Inoltre, ci adoperiamo a comunicare la loro attività: nel nostro blog raccontiamo spesso le loro storie, li invitiamo agli eventi dove ci chiamano a presentare il progetto, lanciamo tante iniziative con loro, dai questionari ai progetti europei cui partecipiamo: vogliamo far sentire i piccoli produttori parte di un network e non solo imprese agricole isolate.
Come selezionate i prodotti e i produttori?
Siamo noi a pagare loro, ma ovviamente siamo molto severi nella selezione dei prodotti. Da un lato cerchiamo di capire qual è la domanda del mercato, quali sono i prodotti interessanti, come per esempio le tisane e i sali aromatizzati agli agrumi, i mix di spezie che non sono facili da trovare nei soliti canali, dall’altro andiamo in campagna a cercare produttori che abbiano valori di qualità e sostenibilità intrinseci nel loro modello di business. E poi sondiamo il terreno per capire se sposano il progetto a 360 gradi, perché si crea un vero e proprio rapporto con loro, talvolta realizziamo insieme nuovi prodotti e, di fatto, noi diventiamo i loro partner commerciali. Quindi l’azienda agricola in questo modo riesce a crescere, a differenza di quanto spesso accade alle piccole realtà di nicchia, che sono costrette a vendere a grandi distributori o a cedere le attività, perché non riescono a seguire tutto. I produttori hanno l’esclusiva solo per i prodotti creati ad hoc per noi o "inventati" insieme.
Boniviri è inquadrata come “Società Benefit”: ci spiega cosa significa?
È una qualifica giuridica introdotta nel 2015, ed entrata in vigore nel gennaio 2016, prevista per srl e spa, e significa che persegui come azienda non solo obiettivi economici, ma anche sociali e ambientali: è un modello di impresa, quindi nello statuto aziendale si precisa in maniera esplicita, misurabile e volontaria, la missione sociale e ambientale che si persegue. C’è un credito di imposta del 50% per le spese di trasformazione e registrazione come “Società Benefit”, anche se noi purtroppo non abbiamo potuto usufruirne perché abbiamo fondato l’azienda un mese prima dell’entrata in vigore di questa disposizione. Sono gli inconvenienti dell’avanguardia… Eravamo già avanti (ride, ndr).
Quanto può influire l’industria alimentare sul cambiamento climatico?
Sicuramente ha un grande impatto che statisticamente è stato calcolato: la filera food influisce tra il 10% e il 15%, ha un peso notevole. C’è un tema legato al tipo di dieta: gli alimenti vegetali tendenzialmente hanno impatto inferiore rispetto a quelli di origini animali e siamo chiamati a rivedere la nostra dieta in termini climatariani; dall'altro lato va detto che l’agricoltura è sia artefice (se pensiamo a modelli di coltivazione intensivi) sia vittima dell’impatto emissivo, basti pensare alla siccità e agli eventi climatici estremi. Però c’è una grande questione: come sfamare la popolazione mondiale con una agricoltura sostenibile? La risposta è proporre un modello sostenibile. Noi per esempio proponiamo un modello di agricoltura biologica che rispetta la biodiversità locale: no mandorle della California, per esempio, ma siciliane. Secondo noi il nostro approccio come Italia deve essere valorizzare i prodotti autoctoni e biodiversi del territorio, ma bisogna anche rendere più efficienti (e migliorare) le pratiche agricole. Per esempio, noi diamo ai soci un software gratuitamente che si chiama Linkem For Farms, con cui possono monitorare la produzione e i consumi: si traccia tutto in maniera digitale e, una volta acquisiti i dati, si può lavorare in maniera più intelligente e metodica sul fronte green. La nostra filosofia, dunque, si fonda sulla selezione di piccoli produttori di eccellenza, che però si aprono all’innovazione in campo agronomico. E vogliamo lavorare come acceleratori di questo cambiamento: attraverso la nostra rete possiamo diventare un canale verso innovazione e sostenibilità in azienda.
Secondo lei, in generale, l’industria alimentare come può arginare le conseguenze del cambiamento climatico?
Proponendo diete, prodotti e modelli alimentari che siano più sostenibili, più vegetali, più a chilometro zero. E poi penso anche che qualità significhi spesso minore quantità. Per esempio, noi stiamo lavorando molto sulla pasta in questo momento: se mangi 70 grammi della pasta che produciamo noi, sei già sazio, perché è ricca di nutrienti, è più proteica e ha meno carboidrati. Quindi ti sazi di più, ti nutri meglio e ne usi meno. Oggi la qualità è al centro dell'alimentazione sostenibile e salutare, il prezzo è relativo, perché dipende da quanto consumi. Stiamo lavorando su grani antichi autoctoni siciliani, molto proteici, coltivati in biologico, e impasti lavorati in maniera non industriale. Non ci sono aggiunte di zuccheri o altri ingredienti, come spesso accade nella produzione industriale. Il modo di alimentarsi del futuro, poi, è quello del passato: mangiare poco e bene, con una dieta molto basata sui legumi, molto più vegetale, senza troppa carne, senza dimenticare di rispettare e valorizzare la stagionalità dei prodotti.
Qual è stata la più grande difficoltà affrontata nel suo percorso professionale e quale la maggiore soddisfazione?
La principale difficoltà è stata la gestione amministrativa: abbiamo iniziato con niente, un capitale sociale di 10 mila euro, comprando l’olio e rivendendolo con il nostro brand e la nostra etichetta, coinvolgendo aziende agricole. Abbiamo fatto tutto passo passo, iniziando con 100 bottiglie d’olio, vendute agli amici, poi abbiamo inserito le spezie, poi le mandorle e così via… Vogliamo crescere così, in maniera molto organica e col giusto ritmo. Vogliamo creare una realtà in cui cresciamo anche noi: la nostra è un’impresa slow a 360 gradi, anche nei tempi di sviluppo e crescita. Sicuramente tra le più grandi soddisfazione c’è stato il riconoscimento di 50 Next, ma anche la pubblicazione dei nostri report di impatto sul nostro sito, perché misurano l’impatto sociale che generiamo nel concreto. E poi il “corporate welfare”: i dipendenti delle aziende possono ricevere, a fine anno o durante l’anno, dei box con i nostri prodotti. Una bella scommessa che sta funzionando molto bene e che ci piace, perché ci avvicina molto ai consumatori, ai quali possiamo raccontare l’investimento fatto in termini di sostenibilità.
Che consiglio darebbe a un giovane appassionato di tematiche ambientali che magari non ha il coraggio di lanciarsi in un’attività?
Secondo me c’è bisogno di una dose di audacia e di coraggio nel lanciarsi, ma anche non avere l’ansia di fare tutto e subito: oggi c’è la cultura della startup unicorno che deve spaccare tutto subito (e spesso fare l’exit e vendere), mentre bisognerebbe creare una maggiore cultura dell'imprenditoria, che racchiude un concetto molto più profondo, ossia trovare una soluzione di mercato a un problema sociale o economico. L’imprenditoria è molto più creativa, e poi ti libera da tanti obblighi, a noi piace la cultura dell’impresa. Bisognerebbe spingere realtà imprenditoriali che puntano sul territorio e restano sul territorio, un modello molto più olivettiano: è lì che ci giochiamo la partita. Dovrebbero iniziare a premiare chi resta, chi valorizza il made in Italy, chi scommette con coraggio, crea lavoro e si mette in gioco.
Progetti futuri?
Con Boniviri vogliamo allargare la rosa dei prodotti: stiamo per lanciare la pasta, poi lanceremo i condimenti, le confetture, i legumi… Abbiamo tantissimi prodotti su cui stiamo lavorando. Vogliamo fortificare ancora di più il rapporto con i produttori: se vendiamo di più, anche loro possono guadagnare di più e investire di più, dunque si deve creare un circuito virtuoso per cui le aziende crescano assieme a noi; vorremmo creare un ecosistema di servizi e di prodotti a sostegno delle aziende agricole partner, per creare un modello di rapporto con l’agricoltore diverso rispetto al solito, da portare anche in altre regioni e non solo in Sicilia. Ci piace andare in giro per le campagne, è la parte più bella del lavoro, e non sarebbe male farlo anche altrove.