“Festeggeremo lunedì prossimo, nel nostro giorno di chiusura. La notizia è arrivata durante il servizio, stavamo facendo le pizze come sempre”. Sale sul primo gradino d’Italia e del mondo, ma resta con i piedi ben saldi a terra Francesco Martucci. Il pizzaiolo alla regia de I Masanielli, a Caserta, ha continuato (e continua) inesorabile ad “ammaccare” personalmente i dischi di pasta lievitata ogni sera nel suo locale. Da poco ha aggiunto un ulteriore e felice tassello alla sua storia, un percorso professionale e umano che racconta di necessità e di sacrifici, di conquiste progressive e di riscatto sociale.
Dal 29 settembre, infatti, domina incontrastato la classifica di 50 Top Pizza 2020, la guida online alle migliori pizzerie in Italia e nel mondo, che quest’anno lo ha di nuovo premiato con il massimo riconoscimento (nel 2019 aveva condiviso la posizione numero uno con Franco Pepe di Pepe in Grani).
Dal futuro della pizza ai progetti in cantiere, ecco che cosa ha raccontato Francesco Martucci a FineDiningLovers.
La ritroviamo, dopo un anno, sul gradino più alto di 50 Top Pizza: che effetto fa, se lo aspettava?
In quest’ambito non calcolo mai nulla in genere, perché prima pensiamo innanzitutto a fare bene il nostro lavoro, e il resto arriverà. Questa è la mia politica: lavora sodo, bene, non farti distrarre da ciò che c’è fuori dalla pizzeria, non perché tu non vuoi guardarlo, ma perché ti vuoi concentrare sul fare al meglio le pizze. Sicuramente provo tanta soddisfazione, quando arrivi tra i primi cinque-dieci, sei in buona compagnia: a livello umano e competitivo ci sono delle sfumature, ma ci sono tanti grandi professionisti. La fine arriva quando ti credi meglio degli altri, vale per tutti i campi: non hai margini di miglioramento in quel caso…
A chi dedica questo importante traguardo?
Ai tanti che hanno dovuto chiudere la propria attività per colpa del Covid e alle persone che non arrivano a fine mese per colpa della pandemia. Vorrei aiutarli, almeno con un pensiero, nel mio piccolo, e dire “forza, tutto passa”. Hanno chiuso in tanti, noi siamo fortunati ad avere ancora molti clienti (siamo passati da 160 a 100 coperti) che vengono, come sempre, solo su prenotazione. Siamo molto rigidi sulle regole, tanto che venerdì scorso è venuto il dottor Ascierto del Pascale di Napoli e ci ha fatto i complimenti, dicendo che non ha mai visto un locale così sicuro e che si è sentito a casa. Mi ha fatto piacere sentire queste parole da un medico che ha fatto tanto per la comunità: sono questi i geni, noi siamo semplici pizzaioli, mentre salvare vite non ha prezzo.
Con Futuro di Marinara ha vinto anche il premio Pizza dell’anno 2020: cos’ha in più questa ricetta secondo lei?
È l’espressione amplificata della tradizione, che è ciò che inizi a conoscere in cucina, l’abc di base: devi essere bravo a studiarla e ad amplificarla, appunto. Senza tradizione non c’è innovazione. Di questa pizza credo abbia colpito il triplice metodo di cottura, al vapore, fritta e al forno, che dà all’impasto una consistenza completamente diversa da tutti gli altri. Si tratta di un impasto molto identitario, questo procedimento lo valorizza in maniera ancora più forte. Penso che sia stato colto il messaggio di Futuro di Marinara, ossia che con qualcosa di molto semplice si possono realizzare cose straordinarie. Abbiamo ampliato la cucina a 320 metri quadrati e introdotti tanti nuovi macchinari che ci aiutano nel lavoro.
Una pizza apparentemente semplice: ci racconta come viene farcita la Futuro di Marinara?
Questa pizza è figlia della mente futuristica di Martucci: la crema di pomodoro è semplice ma arrostita, così riesce a sprigionare tutto il suo sapore in maniera intensa, al posto dell’aglio classico c’è un pesto di aglio orsino, quindi olive, capperi, origano e alici. In realtà sembra la pizza fatta dalla nonna a casa, con quel bel pomodoro ristretto e con i classici ingredienti che si hanno sempre a disposizione quotidianamente: la pizza deve emozionare, assaporarla è un’esperienza fatta di ricordi e di sensazioni. Senza mai dimenticarla: è questo che colpisce le persone.
Quali sono i suoi prossimi obiettivi, c’è qualche sogno o progetto che ancora deve realizzare?
Fare le pizze anche domani: il progetto di Pizza Farm, nell’Alta Murgia, è per il momento sospeso. L’idea alla base era creare in un posto remoto, nei pressi di Corato (il paese della mia compagna), un luogo vocato alla pizza agricola, ispirandomi a quanto ha fatto lo chef svedese Magnus Nilsson, che è riuscito a portare gente in mezzo al nulla. Ora, però, mi sto concentrando su un altro progetto, Sperimentale: un format con 25 posti a sedere, nel centro di Caserta, concepito come un ristorante stellato. Ci sarà da divertirsi: ambiente minimal, legni affumicati, ferro battuto… Le pizze saranno quelle del momento, si sperimenterà con tutti i sensi, ma soprattutto con le emozioni. Se tutto va bene apro verso aprile o maggio.
Ci racconta qualcosa in più sul nuovo locale e sulle pizze che proporrà?
Saranno pizze che daranno la possibilità di osservare e sperimentare le reazioni delle persone al tavolo. È quello che accade con la mia Édith Piaf, un impasto a base di farina di mais e semi di girasole, condito con cipolla fermentata, stracciata di Corato, menta, uva sultanina e alici, che viene servita con la musica della cantante da cui prende nome, sulle note di Non, je ne regrette rien. Il sapore della menta arriva al palato quando si alza il tono della canzone... Ci sarà una bella playlist nel locale, che curerò personalmente: ne ho preparata una anche per la Reggia di Caserta. Ci sarà molta black music in sottofondo, ma anche sonorità rétro: la musica, la moda e il design, dopo la pizza, sono le mie più grandi passioni.
Domanda da un milione di dollari: qual è il futuro della pizza, in quale direzione si sta andando?
La pizza sta andando incontro alle persone e alla loro curiosità, come è giusto che sia: oggi tutti sono più informati, grazie a internet e alle varie testate giornalistiche. La pizza va incontro a un modo di vivere la quotidianità: chi lo dice che non possa essere un piatto di alta cucina? Può dare invece un’esperienza alta a un prezzo che è alla portata di tutti. Sono sempre più numerosi i locali versatili, che offrono per esempio anche i cocktail in abbinamento alla pizza, per soddisfare le esigenze delle persone. Noi dobbiamo avere l’umiltà di dire: che cosa vorrei mangiare se mi sedessi qui? Perché mi siedo da Martucci? Se la pizza non incontra la persona, non ha fatto nulla: deve far sì che il consumatore finale rimanga soddisfatto.
Durante il confinamento, mezza Italia si è messa a impastare in casa: che significato ha per chi ha fatto della pizza la propria scelta di vita?
Fare la pizza a questi livelli è annullare quasi il privato: sì, è proprio una scelta di vita. Ricollegandomi a quanto detto prima, credo che i video dei pizzaioli abbiano avuto successo perché la pizza va incontro alle persone, e durante il confinamento è entrata nelle case della gente: anch’io ho fatto qualche video e ho visto quanti mi hanno contattato. Questo significa che il pubblico si fida sempre della pizzeria e dei pizzaioli: dare un attimo di gioia in un momento così difficile, è sempre un lieto evento.
Secondo lei c’è ancora qualche potenzialità inespressa della pizza come alimento e come simbolo sociale?
Prima fare la pizza era un lavoro umile, da fare quando magari non si aveva voglia di lavorare o studiare. È un riscatto sociale in un certo senso, io stesso ho iniziato a dieci anni per necessità. Mi chiamano bad boy, perché sono poco accomodante… Ma se non mi conosci, non mi puoi giudicare.
Prima di salutarci, ci svela quali sono le prossime pizze cui ha lavorato o che sta mettendo a punto?
In questi giorni è uscita Omaggio a Frantzén, con impasto alla farina di cipolle fatta da me. Mi sono ispirato al suo French Toast, che mi ha folgorato, quando mi sono seduto alla sua tavola: è una pizza con stufato di cipolla, crema di Parmigiano, cipolla macerata con uva sultanina, fiordilatte, pisello fermentato, tartufo. E ancora, Protonno Rosso: è cotta in tre modi diversi - al vapore, fritta, al forno - e ha come topping mozzarella di bufala, tonno marinato alle lenticchie fermentate con zenzero e menta. Richiama nel nome il film Profondo Rosso e si rifà alle produzioni di Lamberto Bava, aiuto-regista di Dario Argento, che con budget molto risicati riusciva a fare effetti speciali davvero sofisticati.