È l’unico italiano presente nella prestigiosa lista dei 50 Next, gli under 35 che stanno cambiando il futuro della gastronomia secondo The World’s 50 Best e il Basque Culinary Center. Classe 1986, Gian Marco Viano è un giovane vignaiolo canavesano. Nato ad Aosta, vive a Ivrea, e da circa cinque anni ha iniziato a produrre il Carema doc, un vino quasi dimenticato, che ha riscoperto con passione.
La lista internazionale di cui fa parte, da poco svelata, contempla giovani chef, produttori, innovatori tecnologici, scienziati e attivisti che hanno dimostrato di avere un’attitudine visionaria e sostenibile, di guardare al futuro in maniera propositiva e di riuscire a guidare il rinnovamento del settore enogastronomico. Ed è proprio quello che ha fatto Viano, che nella vita si è occupato di tutt’altro, prima di innamorarsi definitivamente del vino e del suo Carema doc, un nettare che può essere prodotto esclusivamente all’interno del comune da cui prende nome, un borgo di 800 anime immerso nella natura.
Ecco che cosa ha raccontato Gian Marco Viano a Fine Dining Lovers.
È stato annoverato tra i giovani leader del cambiamento enogastronomico mondiale: che è effetto fa?
Mi fa piacere, mi rende consapevole che quella che sto percorrendo è la strada giusta. Io in genere sono un tipo “low profile”, che non si esalta: sono consapevole di non essere nessuno, è solo da cinque anni che faccio questo mestiere, sicuramente ci sarà gente molto più preparata e talentuosa di me. Resto con i piedi per terra, questo riconoscimento non cambia nulla nel mio percorso. Il mio obiettivo è che la mia attività rimanga a conduzione personale e artigianale, anche perché ci troviamo in un territorio dove non puoi ambire a fare numeri alti: tutte le aziende che sono nate nell'ultimo periodo hanno un ettaro e mezzo massimo vitato. Di un vino come il Carema doc non potrai mai produrre decine di migliaia di bottiglie: da pochi giorni è uscita l’annata del 2018, e sono solo 1990.
Siete in tanti a produrre il Carema doc?
C’è stato un incremento esponenziale negli ultimi anni: fino al 2014 c’erano solo due produttori, Ferrando e la Cantina Cooperativa di Carema, a cui si deve il merito di aver salvaguardato i vigneti della zona e aver tenuto alto il nome della doc a livello anzionale ed estero. C’è stata una congiunzione astrale per cui in pochi anni siamo aumentati di altre sei aziende, dopo che per cinquant’anni ci sono stati solo due produttori (la denominazione di origine controllata è stata istituita nel 1967, ndr). Oggi, infatti, siamo in otto a produrre il Carema doc: io sono il più giovane, ma gli altri sono poco più grandi di me.
Come ha iniziato a occuparsi di vino?
Ho frequentato l’istituto tecnico a Ivrea, mi sono diplomato in perito elettrotecnico, poi però mi sono reso conto che di elettricità non mi interessava nulla, e avevo questa passione un po’ latente per il vino, che mi è stata trasmessa molto da mio papà, un grande amante del vino “contadino”. Con lui andavo spesso nel Monferrato a prendere le damigiane e imbottigliamo noi a Ivrea. Diciamo che c’era già un legame con il vino, ma un vino di tipo agricolo, non di fama. Poi ho deciso di frequentare il corso da sommelier Ais: di giorno lavoravo e di sera seguivo le lezioni.

Come è proseguito il suo percorso?
Dopo il diploma da sommelier, ho deciso di andare all’estero perché non sapevo l’inglese. Sono stato un anno a Glasgow e un anno a Londra, dove ho lavorato al Murano, ristorante stellato del gruppo di Gordon Ramsay. Tornato in Italia, sono stato a Villa Crespi, due stelle Michelin di Antonino Cannavacciuolo, e poi all’Hotel Belle Vue di Cogne, una stella Michelin. Ma il mondo della ristorazione è fatto di sacrifici, soprattutto di tempo, che toglievo alla famiglia: ho deciso così di continuare come sommelier, ma in una cantina a Barolo, perché questo mi permetteva di finire alle 18 e di trascorrere il Natale a casa. Lavorando lì, ho cominciato ad avvicinarmi alla cantina, alle vigne, e questo mi ha affascinato e intrigato. Così, ho deciso di lanciarmi nella produzione.
Come mai ha scelto di produrre proprio il Carema doc?
Ho sempre avuto il pallino di Carema, che è una zona canavesana con potenzialità enormi e con tante vigne da recuperare: basti pensare che a fine ‘800 c’erano più di 100 ettari vitati, mentre adesso ce ne sono solo 20. Adesso, con il cambiamento climatico e il surriscaldamento della terra, ci sono temperature ideali per la coltivazione del vigneto, qui. Diciamo che l’asticella del vigneto ideale si sta alzando sempre più verso Nord, e, nel nostro piccolo, piantare ad altitudini più elevate potrebbe essere la soluzione per trovare temperature più consone alla crescita della vigna.
Possiamo parlare di una rinascita della produzione vitivinicola del Canavese?
Adesso l’alto Piemonte è sulla cresta dell’onda: il clima sta favorendo la vigna, prima venivano vini troppo acidi e parecchio duri, mentre ora i sorsi sono più equilibrati, e ci sono più aziende che hanno investito sulla qualità. Quando ho iniziato, ho avuto la fortuna di incontrare persone che mi hanno aiutato, che mi hanno prestato macchinari, e ho capito che quella era la mia strada, mi appassionava tanto. Dopo la prima vigna, ne ho presa un’altra, ho iniziato a fare il vino io, e ora ho un ettaro vitato a circa 400 metri sul livello del mare, nella parte più alta, ossia la parte che negli anni è stata più abbandonata. Come me, altri giovani produttori sono tornati a occuparsi di vino.
Che cosa le hanno lasciato le esperienze nei ristoranti stellati in Italia e all’estero?
Sono state esperienze che mi hanno fatto crescere: tutto mi è servito, anche come azienda vitivinicola, perché comunque è importantissimo aver assaggiato tanti buoni vini, aver visto anche a livello di mercato i prezzi di alcune etichette, avere una visione globale e non guardare solo cosa fa il vicino di casa. Essere informati su quello che stanno facendo in Nuova Zelanda o in Borgogna, per esempio, è fondamentale: ti dà una visione totale del mondo del vino e ti può aiutare a fare delle scelte con consapevolezza. Anche in una cantina piccola come la mia.

Avrebbe mai immaginato di ottenere questi risultati, incluso un riconoscimento internazionale?
Sinceramente cinque anni fa non sapevo nemmeno come fosse fatta una vigna: non immaginavano che in così poco tempo si parlasse di me. Certamente, le scelte che ho fatto - a volte rischiose - hanno permesso che si creasse già un piccolo brand legato alla mia azienda Monte Maletto, che prende nome dalla montagna che sovrasta Carema. Sono scelte legate alla conduzione del vigneto, al modo in cui vinifico, cercando di intervenire il meno possibile in vigna e in cantina, non usando prodotti chimici di sintesi, ma anche scelte commerciali legate alla determinazione del prezzo della bottiglia: assieme agli altri produttori di Carema doc, ci siamo detti “abbiamo un posto unico al mondo, una quantità limitata che sarà sempre tale, una viticoltura estremamente difficile, perché qua non possiamo meccanizzare ed entrare con un trattore in vigna: non possiamo vendere il nostro vino a un prezzo basso”. All’horeca lo vendiamo a 30 euro, al pubblico attorno ai 50 euro.
Secondo lei perché in pochi hanno scommesso sul Carema in passato?
Negli ultimi cinque-sei anni le aziende che sono entrate nella produzione di Carema sono sei, ma in effetti in passato la doc è stata parecchio trascurata. Forse perché il disciplinare è molto restrittivo: tutto deve essere fatto a Carema. Pure i locali per vinificare devono essere a Carema, per esempio. Noi adesso abbiamo fame, siamo una generazione che ha fame e che deve inventarsi il lavoro e non può accontentarsi o campare sugli spazi storici dell’Olivetti (azienda che ha lasciato una grande impronta socio-culturale in tutto il Canavese, ndr).
Quali sono le chiavi reali del cambiamento nel mondo dell’enogastronomia, gli aspetti su cui bisogna puntare?
Quello che dobbiamo fare è portare la gente a vedere le nostre vigne, invece che mandare campioni in giro all’estero, che comunicano fino a un certo punto: è importante fare venire qui gli importatori, far percorrere un bel sentiero che porta in vigna. Credo che portando la gente qui il successo sia assicurato: solo far vedere la nostra fatica, il paesaggio in cui lavoriamo, e la sua bellezza, solo così possiamo valorizzare il nostro prodotto. Solo così posso far capire perché una bottiglia del mio vino costa 50 euro.
Che consiglio darebbe a un giovane appassionato di vino che magari non ha il coraggio di lanciarsi?
Innanzi tutto di fare il primo passo e di non avere paura, perché bisogna cominciare in qualche modo, anche se si ha paura di non farcela. A me dicevano che bisognava avere tanti euro in banca per aprire una cantina, oppure che senza prodotti sistemici non avrei fatto nulla. A quel punto per me è diventata una sfida: “io invece lo faccio e ti di dimostrerò che riuscirò”. Ecco, un altro consiglio è quello di prendere input negativi di scoraggiamento come sfide da affrontare. Vedo tanti ragazzi che si stanno approcciando a questo mondo, ma devi avere una identità molto precisa di quello che devi fare. Per avere buone possibilità di successo devi avere un'idea di quello che sarà la tua azienda, la sua immagine, del vino che farai, di quello che vorrai esprimere. Per questo è importante aver assaggiato vini di tante altre aziende, per capire cosa ci interessa: metti insieme tutti gli aspetti che ti piacciono per creare il tuo vino. La conoscenza degli altri vini e degli altri produttori, oltre ad avere dei punti di riferimento, è importante: se non sai cosa vuoi fare, finisce che il tuo vino se lo bevono solo i tuoi amici.
Quali sono i suoi progetti futuri?
Con altri produttori di vino, abbiamo fondato GVC - Giovani Vignaioli Canavesani: un’associazione che consta di circa 20 vigneron, tra aziende consolidate e aziende avviate da poco o che stanno per nascere. Ci diamo consigli, assaggiamo i vini tra di noi, ci ospitiamo per vinificare se uno non ha propria cantina. Il primo appuntamento che abbiamo organizzato è ReWine, il primo evento dedicato al vino in Canavese, in programma il 26 e 27 giugno 2021. Ci sarà un convegno al Teatro Giacosa di Ivrea e una giornata di degustazioni a Borgofranco di Ivrea: per noi sarà un happening molto importante, perché ogni area viticola italiana di pregio ha un suo evento, e in Canavese mancava. Per noi è importante che arrivino da ogni dove per assaggiare i nostri vini.