Ha solo 32 anni e ha appena conquistato la sua prima stella Michelin, alla regia di Gucci Osteria da Massimo Bottura Beverly Hills, uno dei ristoranti del Gruppo Francescana, da poco approdato anche a Tokyo. Di origini bergamasche, Mattia Agazzi, dopo la scuola, ha esordito al fianco di Chicco Cerea, tre stelle Michelin al ristorante Da Vittorio a Brusaporto. Poi, ha viaggiato e lavorato in tutto il mondo per sette anni, con esperienze che includono Alain Ducasse au Plaza Athenée a Parigi e il ristorante vegetariano Yellow Restaurant, a Sydney, dove è stato introdotto al mondo della fermentazione e allo spettro creativo offerto dall'universo vegetale.
Oggi lo ritroviamo a capo di una brigata giovane, multiculturale e dinamica, fresco del primo, importante, riconoscimento della "Rossa". Il suo approccio creativo e il suo entusiasmo per questo lavoro ci hanno conquistato.
Ecco che cosa ha raccontato Mattia Agazzi a Fine Dining Lovers.
Ci racconta come è approdato al Gucci Osteria da Massimo Bottura Beverly Hills e il progetto che ha portato avanti?
Vengo da Bergamo, sono approdato al Gucci Osteria dopo che ho conosciuto Massimo Bottura, ho fatto un colloquio alla Francescana con loro e mi avevano parlato del progetto Gucci Osteria di Firenze, inizialmente. Quindi ho fatto la mia esperienza, prima all'Osteria Francescana, poi come sous chef di Karime Lopez al Gucci Osteria di Firenze. Dopo la stella Michelin ottenuta nel capoluogo toscano, Massimo ha deciso di spostarmi a Beverly Hills per la nuova apertura. Il progetto che abbiamo trasportato qui è sempre stato legato alle nostre tradizioni, soprattutto alle mie, che sono di origini lombarde: abbiamo cercato di portarle il più possibile a Los Angeles, usando però prodotti locali; per esempio, abbiamo fatto il Risotto Camouflaged as Pizza, dove abbiamo riportato gli ingredienti e i sapori della pizza sul risotto.
Chef italiano a Los Angeles: com'è lavorare all'estero? Quali sono le analogie e le differenze con il Belpaese?
La differenza non l’ho trovata così abissale, anzi. Fin dal primo giorno abbiamo sempre avuto il supporto di Gucci e della Francescana, che è stato di grande aiuto. Ma devo dire che non mi sono mai sentito uno “straniero” qui. Sono andato subito al farmers market per prendere contatti con i produttori locali e concentrarci sull’uso dei prodotti del posto. Ci sono tanti ingredienti che arrivano dai dintorni: dai ricci di mare di Santa Barbara alle alghe di Monterey Bay, a sud di San Francisco. Oltre a questo, prendiamo spunto dal fatto che siamo un melting pot di culture diverse, sia come città sia come brigata. Quest'ultima è costituita da circa 6-7 persone, tra cui un russo, una coreana, un californiano, un ragazzo di San Salvador, un argentino, oltre a Tamara, la pastry chef altoatesina, e Vanessa, la mia sous chef canadese. Attorno a noi abbiamo tante influenze da tutto il mondo: dal Sudamerica, ma anche dall’Asia. La brigata è preziosa, è una delle ispirazioni più gradi che ho, mi stimola molto.
Ha appena conquistato la stella Michelin: qual è la percezione della cucina e di questo importante riconoscimento all'estero?
Anche qui è un riconoscimento tanto sentito, Los Angeles è un luogo che si basa molto sul cibo e sulla ristorazione: la gente sa cos’è una stella Michelin. Ma spetta anche a noi chef riuscire ad essere ambasciatori di questi progetti importanti: la Guida Michelin è riconosciuta a livello mondiale, sta a noi rispettarne il valore, e diffonderlo, farlo conoscere alle persone. Non è un motivo per vantarsi, ma per portare la cucina italiana su un altro livello, che non sia solo il mero mangiare, bensì la creazione di un’esperienza che preveda un’armonia tra servizio in sala, cucina e vini.
Come viene vissuto il fine dining a Los Angeles: secondo lei ci sono differenze di approccio con i clienti tra Italia e USA?
Mi sono sentito a casa sin da quando sono arrivato qui, proprio per questo motivo: la cultura fine dining è molto simile, si basa su uno stile di vita salutare, sullo sport e sulla dieta mediterranea (che qui era già molto conosciuta prima del nostro arrivo). Quindi l’approccio con i clienti non è stato “traumatico”, hanno subito apprezzato il tipo di gastronomia che facciamo, anzi alcuni sono ancora sorpresi, perché credono che una cucina legata al brand non possa essere di questo livello (non so su quali basi abbiano questo preconcetto). Mi sono trovato molto connesso con la cultura locale sin dall’inizio, in realtà è molto simile alla nostra.
Come ha affrontato il difficile momento della pandemia il mondo della ristorazione a Los Angeles?
Aprire e chiudere il ristorante per tre volte in un anno è stata la sfida più dura da affrontare per tutti i ristoratori. Ma questo ci ha aiutato a rafforzare il team, perché durante la pandemia - nonostante i ristoranti fossero chiusi - abbiamo iniziato una collaborazione con Hollywood Food Coalition, che è un’associazione senza scopo di lucro che aiuta le persone, fornendo cibo e supporto a chi ne ha bisogno. Abbiamo servito circa 10 mila pasti in due mesi, circa 150-200 al giorno (primo, contorno, dessert). Sono esperienze di volontariato che ho sempre fatto in passato, anche in famiglia. Ma è stato importantissimo affrontarlo come team: oltre ad aver trovato qualcosa che riflettesse i valori di Food For Soul, è stato un motivo per rafforzare la squadra e il nostro spirito, la nostra anima. Durante la pandemia, noi siamo stati fortunati, perché Gucci ci ha sempre supportato, ma molti ristoranti qui negli Stati Uniti sono stati parecchio in difficoltà: c'è chi ha chiuso e chi no, a seconda delle disposizioni, quindi lo staff si spostava da una città all’altra, dove non c’erano le saracinesche abbassate. La conseguenza è che anche qui, come in Italia, oggi c’è il problema della difficoltà a reperire personale.
Quali sono i piatti di Gucci Osteria da Massimo Bottura Beverly Hills più rappresentativi per il 2021
Siamo stati aperti realmente meno di 12 mesi, ma sicuramente il Risotto Camouflaged as Pizza è uno dei piatti che più mi rappresenta: cuociamo il risotto con acqua di pomodoro, finiamo tutto con una crema di pomodorini, stracciatella, crema al basilico, polvere di capperi bruciata che ricorda la crosta della pizza e pomodorini semi-dry. L’idea di questo piatto è nata per un gioco tra me e Massimo: lui non mi aveva raccontato del progetto di Gucci, mi ha fatto una sorpresa; mi aveva detto che mi avrebbe mandato a Beverly Hills ad aprire una pizzeria, quindi quando è arrivato gli ho detto “Massimo ho fatto la pizza”. Ed ecco un risotto che riprende la mia tradizione lombarda, travestito da pizza. L'altro piatto iconico è la trota, che abbiamo chiamato Coming from the hills I love rock climbing: una creazione basata tutta sui miei hobby. Il nome al piatto lo ha dato Massimo, e questo è uno dei signature che mi rappresenta di più: sin da piccolo andavo a pescare (a Bergamo c’è la tradizione della trota), il foraging (ho combinato tutto con funghi locali stagionali) e delle nocciole di Santa Barbara, per finire il tutto con una fish juice, cioè una salsa con sapori molto asiatici, preparata con ingredienti che vanno dal kabosu (un agrume nipponico) all’aceto cinese di riso. Un ottimo incontro tra le nostre tradizioni e la cultura “altra” che c’è qui a Los Angeles.
Progetti futuri: ci saranno novità, sta lavorando a qualcosa in particolare?
Sto lavorando al nuovo menu, tra qualche giorno sarà disponibile. Posso anticiparvi che stiamo pensando a un piatto che sia un tributo all’amicizia tra Marco Bizzarri e Massimo Bottura.
Che consiglio darebbe a un giovane chef che sta pensando di andare a fare un'esperienza di lavoro all'estero?
Se parlo della mia prima esperienza all'estero, io l’ho fatta a Bucarest, che è una scelta inusuale. Ma il mio consiglio è di prendere e partire: le ispirazioni le hai proprio durante il viaggio, e in qualsiasi posto ti trovi. Apre la mente viaggiare: dall’imparare una lingua diversa al confrontarsi con la comunità locale, al lasciarsi ispirare dalla nuova cultura che ti circonda. Questa esperienza te la porterai dietro per sempre e imparerai a stare in mezzo a gente che non consoci e a creare dei team: lavorare all'estero è un’esperienza importantissima che è legata non solo al far da mangiare, ma è una vera e propria esperienza di vita. A prescindere da dove si vada, l’importante è viaggiare: è una crescita della persona, è bellissimo scoprire nuove culture. Credo sia l’aspetto più affascinante del nostro lavoro.
Tutte le foto sono di Gabriele Stabile