“È giunto il momento che il mondo dei cocktail bar, e dell’hospitality in generale, venga preso in considerazione con le sue peculiarità, per affrontare al meglio la situazione post-emergenza, ma anche per dare voce a un settore che non si è sentito adeguatamente rappresentato negli ultimi anni”. Leonardo Leuci, imprenditore e guru della mixology, che a Roma firma locali che vanno dal mitico Jerry Thomas al più recente Latta, passando per La Punta, introduce così Italian Hospitality Network, l’associazione che presiede, nata proprio durante il lockdown. L’idea di creare una rete che aggregasse bar, wine bar, cocktail bar, discoteche, club - oltre a ristoranti e bar di hotel - era già nell’aria, ma la quarantena e la chiusura forzata delle attività ha inevitabilmente accelerato i tempi.
Non chiamatela “movida”: il mondo dell’hospitality come industria
“Adesso contiamo circa 300 iscritti, oltre a 5 mila firmatari del manifesto”, spiega Leuci. “Accogliamo tutti quelli che fanno somministrazione: noi non siamo ‘movida’, un termine usato troppo spesso per definirci, con connotazione dispregiativa, ma siamo una industry a tutti gli effetti, un’industria che ha un peso specifico importantissimo, troppo spesso sottovalutato nell’economia del Paese”. E proprio con queste parole si apre il “manifesto emozionale” dell’associazione, che vuole essere un punto di riferimento per il settore. “Un settore specifico, che sino ad ora è stato racchiuso nella dicitura ‘ristorazione’, ma noi siamo altro, abbiamo esigenze diverse”, prosegue il bartender. “Quando abbiamo visto che nessun decreto ci prendeva in considerazione, abbiamo capito che era arrivato il momento di far sentire la nostra voce. Per esempio, alle attività che aprono alle 19 non si può chiedere di chiudere alle 23, piuttosto meglio non farli aprire e supportarli”.
Un invito a considerare il mondo dell’intrattenimento e dell’hospitality per il suo peso specifico, dunque, ma anche per il suo impatto socio-economico. “Italian Hospitality Network vuole essere un think tank. In Italia c’è un problema: negli ultimi quindici-venti anni c’è stata una riqualificazione dell’intero comparto, partito dalla cucina, che poi ha coinvolto anche il mondo dei bar, tanto che oggi i barman sono figure apprezzate, alcuni sono diventati anche imprenditori, si è sviluppata una sorta di neo-artigianalità del settore”, spiega Leuci. “Ma non c’è mai stata la volontà da parte della politica di affrontare in modo costruttivo lo sviluppo, così come le criticità”.
E così, la voglia di proporre soluzioni concrete ha dato il via alla creazione dell’associazione, che chiede attenzione per un settore strategico, che spesso ha dato vita alle periferie, trasformando sensibilmente la percezione e i profili dei quartieri delle grandi città, facendoli diventare delle vere e proprie destinazioni turistiche. “Basti pensare a quello che è successo a Londra con l’area di Shoredicht, oggi sede di ristoranti gourmet e locali indipendenti, di movimento artistici...”, aggiunge Leuci. “Da noi c’è stata una politica neo-proibizionista, si preferisce far morire i centri storici, anziché farli evolvere: è una mentalità che va scardinata dalla politica e dall’Italia”, aggiunge.
Italian Hospitality Network, il manifesto e le proposte
L’associazione ha elaborato un vero e proprio manifesto, che ha diffuso attraverso i suoi canali social. “La dimensione nel nostro settore nell’economia italiana ci rende uno degli attori centrali,
i dati ci riportano un quadro di assoluto rilievo, non solo per la ricchezza che le nostre attività generano tra fatturati (15% PIL) e occupazione (1,2ML) ma anche per l’indotto che complessivamente contribuisce alla realizzazione dei nostri servizi, dal comparto agricolo ai fornitori, passando per le grandi aziende fino ad arrivare i professionisti che assistono le nostre strutture; meritiamo maggiore ascolto. Le vicende che ci hanno travolto negli ultimi mesi hanno fatto emergere un quadro tanto drammatico quanto evidente: gli strumenti di rappresentanza di cui disponiamo risultano non essere esaustivi e veramente rappresentativi di quella parte del nostro settore che ritiene la qualità del servizio l’asse portante della propria proposta. Il nostro universo fatto di imprenditori coraggiosi, bartender creativi, cuochi dediti e camerieri appassionati merita di essere ascoltato”, si legge sul documento.
E ancora: “Riteniamo inoltre che le normative esistenti non siano rappresentative della molteplicità dei modelli di hospitality che esistono; i disciplinari, le forme di contratto, le categorie delle nostre licenze, i modelli contributivi, sono chiaramente obsoleti e necessitano di essere ammodernati, resi più vicini alle reali esigenze che viviamo. Pensiamo che un sistema contributivo coerente debba incentivare le realtà che includono figure professionali adeguate, sviluppando un sistema contributivo differenziato che alleggerisca il carico fiscale in funzione di una maggiore professionalizzazione del personale al servizio nei nostri locali”.
Intanto, IHN sta lavorando a proposte concrete, da presentare alle istituzioni, per avviare un vero e proprio dialogo costruttivo. “Il nostro settore può riqualificare, può generare indotto”, spiega Leuci. “Le luci accese dei locali tengono le strade e i quartieri vivi. Per esempio, le ordinanze che obbligano alla chiusura di tutti i locali alla stessa ora andrebbero riviste: non è mandando tutti a casa alla stessa ora che si risolvono i problemi. Si potrebbe limitare la somministrazione fino a un certo orario, senza chiudere i locali, in modo da non mandare per strada la gente, e magari mettendo a disposizione degli etilometri alle persone”, aggiunge.
“Negli Stati Uniti, per esempio, il locali possono farsi dare la chiave della macchina, e piuttosto chiamano un taxi se il cliente non è in grado di guidare. Se vogliono darci un ruolo, non vogliamo quello di ‘sceriffi’ che gridano alle persone di separarsi in una piazza: preferiamo che ci facciano assumere un ruolo attivo nella prevenzione di episodi spiacevoli”.
L’associazione auspica un lavoro a 360 gradi, programmatico, per gestire questo momento e il futuro con un approccio analitico. “Sto pensando che ci sarà un rimbalzo economico nei prossimi quattro mesi, per cui riusciremo ad assorbire il 50% del problema. Ma quello che mi fa paura è’ il medio e lungo termine: dobbiamo risolvere per molte aziende il debito, anche perché fino all’anno prossimo soffriremo per la mancanza di turismo”, commenta Leuci, ferrato sul tema, visto che ha studi economici alle spalle.
Le prossime attività dell’associazione? “Stiamo dialogando con molte realtà politiche, abbiamo avuto già incontri con consiglieri comunali, stiamo facendo uscire una sorta di protocollo interno all’associazione, nel quale ci impegniamo a far rispettare regole che ci auto-imponiamo: nessuno farà l’asporto, per esempio, ma tutti effettueranno solo il servizio ai tavoli. Piuttosto che essere criminalizzati come ‘untori’, preferiamo dire alle persone di venire nei nostri locali e bersi un drink”, risponde. “Inoltre, stiamo lavorando a misure e protocolli di sicurezza che vogliamo proporre all’assessore, una sorta di pax amministrativa. Siamo consapevoli delle problematiche, ma vogliamo essere parte della soluzione e non il problema”.
“Non crediamo nel delivery perché è molto difficile, ma crediamo tanto nella destagionalizzazione delle attività e in una riorganizzazione interna: stiamo affrontando degli studi per la riduzione dei costi delle attività, senza licenziare nessuno”, ci anticipa il bartender. “Con il nostro gruppo, che conta quaranta dipendenti, abbiamo creato una filiera: i ragazzi del Jerry Thomas, per esempio, realizzeranno la linea per tutti gli altri locali, l’idea è quella di creare un protocollo che condivideremo con tutti”.
Tra le idee per il tema del bere responsabile, infine, l’associazione vorrebbe proporre la creazione di un fondo, in modo da lasciare delle “corse sospese” in taxi per i clienti. “Proprio come hanno fatto i locali in alcune città americane, ma anche a Londra: se il cliente non è in grado di guidare, si chiama Uber, lo si manda a casa in sicurezza, e i soldi vengono prelevati da una sorta di conto comune”, spiega Leuci. “Queste sono soluzioni di mercato, il futuro è questo tipo di attività”.