In questi giorni siamo tutti critici. Quando scegliamo un ristorante ci troviamo davanti a una montagna di opinioni che non sappiamo da quale parte iniziare a salire, da quelle di bloggers qualificati e commentatori di social media (inevitabilimente senza il benefico filtro di un editore) a quelle degli esperti ultra-pagati di magazine prestigiosi. I ristoranti non devono soddisfare solo una manciata di celebri critici, ma ogni possessore di smartphone, appassionato di Instagram e frequentatore di Tripadvisor.
Questo è giusto per la democrazia: decidere se un ristorante è eccellente, buono, mediocre o terrible non è più il privilegio di un'élite, e non basta una recensione del New York Times per far sedere un locale sugli allori. Dall'altra parte, però, c'è una tale overdose di parole che tutto si fa confuso. Ormai pensiamo sia normale googlare un ristorante per rivelare centinaia, se non migliaia, di recensioni di varia lunghezza, qualità e professionalità.
Non è sempre stato così. La storia della critica gastronomica comincia nel 1800, ed era molto diversa da come la viviamo oggi.
LE PRIME GUIDE
Il ruolo del critico gastronomico - o recensore di ristoranti, o comunque vogliate chiamarlo - nasce relativamente tardi, insieme ai giornali. L'Almanach des Gourmands, pubblicato in Francia nella prima metà del 1800 da Alexandre Balthazar Laurente Grimod de La Reyniere, è considerato la prima guida di ristoranti, ma è più un racconto di viaggio che una vera guida strutturata. La seconda ad arrivare è stata la Guida Michelin: la compagnia di copertoni ha pubblicato la prima edizione nel 1920 (ma le stelle sono arrivate solo nel 1926).
CRITICHE SUI GIORNALI
La seconda metà del diciannovesimo secolo è stata un'epoca d'oro per i giornali: una quotidiana, economica fonte di notizie, dopo secoli di gossip passati di bocca in bocca aspettando che un messo portasse le notizie di città in città. La prima critica di un ristorante appare sul The New York Times il 1 gennaio 1859 con il titolo di How We Dine. Il suo autore preferì rimanere anonimo, come un "reporter del Times dalle forti opinioni": un'idea, questa dell'anonimato, che è ancora mantenuta da molti recensori per non "rischiare" di avere un trattamento migliore rispetto a quella di un qualunque ospite.
Qualche nome dei più famosi critici anonimi? Quelli della Guida Michelin, ovviamente, ma anche quelli di grandi quotidiani come Marina O’Laughlin del The Guardian (ha pubblicato solo una foto di sé con un piatto in faccia), Ruth Reichl che quando va in un ristorante per recensire si traveste, o l'italiano Valerio Massimo Visintin di cui nessuno ha mai visto il volto.
OGNUNO È UN CRITICO
Nel 1979, Tim e Nina Zagat hanno iniziato a compilare classifiche di ristoranti grazie alle opinioni degli utenti (all'inizio solo loro amici), realizzando la prima critica gastronomica in "crowdsourcing". La guida ha iniziato a essere pubblicata annualmente passando da New York ad altre grandi città, particolarmente interessanti dal punto di vista culinario.
Ma è stato Internet a cambiare davvero le regole. L'instantaneità degli smartphone e la democrazia della rete hanno reso possibile per tutti ricevere recensioni aggiornate, minuto per minuto e morso per morso, dovunque nel mondo. Ma soprattutto hanno reso possibile per tutti scriverle, le recensioni. Il mondo è diventato più piccolo e la cultura gastronomica più grande. Certo, ci sono ancora critichi influenti - specialmente quelli famosi per le recensioni caustiche e feroci - e i programmi televisivi hanno un peso notevole, ma alla fine sono i forum come Yelp e Tripadvisor ad essere sempre consultati. Come capire di quale fidarsi e di quale no? Forse semplicemente andando a istinto: sarà lui, leggendo una recensione anonima online, a dirvi se i gusti e l'approccio al cibo, ma soprattutto l'equilibrio nel dare il proprio giudizio, possono convincervi a provare un ristorante.