"Sono sempre stata una ribelle. Quando avevo 18 anni e mezzo sono scappata in Sardegna: vivevo in una comunità di pescatori sulla spiaggia di San Giovanni di Sinis, tenevo i loro bambini e mi davano da mangiare i pezzi rotti dei pesci impigliati nelle reti"
Di aneddoti così un'intervista con Maida Mercuri è piena. Sommelier, ostessa e ristoratrice, "Nostra signora dei Navigli" (come la chiamano nel quartiere) ne ha di storie da raccontare. Da oltre 30 anni è un punto di riferimento nella ristorazione - e nella vita notturna - milanese: c'è lei dietro a due realtà di successo come Pont de Ferr e Rebelot.
Fine Dining Lovers le ha fatto qualche domanda, partendo proprio da quegli inizi su una spiaggia sarda,
E dopo la Sardegna?
Sono andata a lavorare a Vulcano, nel locale di Augusto Martelli, e poi sono tornata a Milano. Prima di partire lavoravo in una compagnia di assicurazioni, ma da quel momento mi sono detta: mai più in un ufficio. E infatti sono finita alla Taverna dei Sette Peccati, un locale multifunzionale ante litteram: c'era perfino la cartomante.
L'interesse verso il cibo c'è sempre stato?
Sì. Mio padre vendeva tartufi, e fin da piccola ho avuto una curiosità verso la cucina e i suoi prodotti. Per me anche un prosciutto deve avere un senso: non ho bisogno di mangiare per mangiare. Stesso discorso con il vino.
Il vino, appunto. Quando vi siete incontrati?
Avevo 18 anni: ho bevuto un intero bottiglione di Chianti e da lì non sono più riuscita a stargli lontana. Lo tratto con rispetto e amore, per me non è necessità ma puro piacere: al Central di Virgilio Martinez ho pasteggiato a succhi di frutta, in Indonesia non ho toccato alcol per un mese. Non ho bisogno della confusione e dello stordimento che provoca, l'alterazione alcolica può essere una conseguenza, ma non la cerco mai consapevolmente.
Anni da sommelier e addetta al ricevimento, poi l'inizio dell'avventura con Al Pont de Ferr, nel 1986.
Era una Milano allegra e spensierata, come in parte sta tornando ad essere. Allora la vita era più semplificata, c'erano meno doveri e più spazio per i rapporti umani. Alle quattro di mattina che potevo permettermi un ultimo bicchiere della staffa, perché non dovevo andare in banca poche ore dopo. La burocrazia è il problema più difficile: capisco che servano regole, ma è davvero difficile per chi lavora bene come noi.

Da osteria con cucina, com'era inizialmente, a ristorante con una stella Michelin. Com'è successo?
Dal 1992 abbiamo aperto anche a mezzogiorno. Cercavo un secondo, il mio chef uruguayano mi ha suggerito il nome di un connazionale appena arrivato, e così ho conosciuto Matias: all'inizio non conosceva neanche il basilico, ma ho capito presto le sue potenzialità. La stella è arrivata nel 2011, a nostra insaputa. Ero in palestra, esco e trovo 11 chiamate senza risposta: pensavo fosse bruciato il locale. Quando ho sentito Mati al telefono che urlava "È arrivata la stella!" non riuscivo a crederci.
E il Rebelot, invece?
È nato come punto di appoggio di Al Pont de Ferr, un locale da aperitivo e pre-cena, ma è cresciuto grazie a Mauricio a cui abbiamo dato carta bianca. Mi piace lasciare a chi stimo la possibilità di condurre, e manifestare la loro genialità.
Come vede il suo ruolo di "ostessa"?
Come insegno sempre al mio staff, bisogna trasmettere un messaggio, capire cosa vuole il cliente, fare comunicazione. Provo ancora un piacere fisico a fare questo lavoro, continuo a sentire il fuoco che brucia.
Guidare due ristoranti da donna è più facile o più difficile?
Sicuramente noi donne abbiamo un istinto in più, una capacità "da streghette" che non sempre viene apprezzata. Ricordo un episodio del periodo in cui ero sommelier in un hotel: durante un servizio importante lo staff mi ha messo i bicchieri in forno. Che ho fatto? Li ho costretti a bere solo vino della cucina, senza toccare le bottiglie "buone". Dopo un mese si sono arresi e mi hanno chiesto scusa.
Il vino che le ha segnato la vita?
Lo champagne. È quello che mi emoziona di più: ascoltare i produttori, scoprire i terreni, lasciarsi incantare da questa diversità estrema, anche tra vini della stessa annata e dello stesso vigneto. Un vino imprevedibile - proprio come me.