Insetti nel piatto: un superfood ormai promosso tanto dai grandi chef stellati Michelin, quanto dai protagonisti dello street food. Il loro consumo è auspicato e incoraggiato anche dalle Nazioni Unite per combattere la carenza di cibo nel mondo. Insomma, grilli, cavallette, ragni e compagnia sono il nuovo nutrimento per il pianeta, ma anche un trend culinario tanto affermato da veder scoppiare mode di ogni sorta: la pizza agli scorpioni, le tarantole fritte, il ceviche di larve di api sono considerate le nuove delikatessen da intenditori.
Ma gli insetti, cibo del futuro, sono davvero la soluzione tanto auspicata per i problemi di fame del mondo? Per rispondere alla domanda e capire se possano diventare un nuovo modello alimentare efficace, i ricercatori della University of California di Davis hanno indagato sull'impronta (footprint) che l'allevamento e il consumo di questi alimenti altamente proteici lasciano sull'ambiente.
Il loro studio (Crickets Are Not a Free Lunch: Protein Capture from Scalable Organic Side-Streams via High-Density Populations of Acheta domesticus), pubblicato questa primavera sulla rivista scientifica Plos ONE, ha misurato quante risorse e quanto inquinamento l'allevamento dei grilli avrebbe comportato, se fossimo cresciuti seguendo diete diverse. La conclusione è che anche gli insetti non si possono definire la chiave di volta per risolvere il problema del nutrimento dei 9 miliardi di persone che abiteranno il mondo nel 2050 e che, in alcuni casi, il loro tasso di "conversione proteica" sarebbe quasi pari a quello dei polli.
Il primo assunto da cui sono partiti gli studiosi è che anche gli insetti, come tutte le fonti proteiche animali, hanno bisogno di crescere e nutrirsi prima di divenire, a loro volta, una fonte alimentare. Nel corso dell'esperimento sono stati allevati grilli seguendo cinque diete diverse: a partire da un regime a base di grano, soia e semi vari, fino a uno completamente basato sugli scarti. In questo modo, i ricercatori hanno potuto dimostrare come la dieta degli insetti sia una variabile fondamentale rispetto alla loro grandezza e al quantitativo di proteine in essi contenute. Chi veniva allevato con semi di prima qualità cresceva maggiormente e con un tasso di nutrimento (il cosiddetto tasso di conversione proteica) più alto rispetto a quelli cresciuti a base di scarti alimentari e semi di seconda o terza scelta. Questi ultimi mostravano un rendimento proteico più basso di quello delle carni da allevamento oggi presenti sul mercato, mente alcuni non riuscivano a sopravvivere abbastanza da diventare una fonte alimentare.
Ma anche nella famiglia di grilli allevati con sementi superiori, la conversione proteica non appariva così conveniente: era pari al 35%, valore di poco superiore a quella del pollame. Dunque, tenendo come assodato questo dato, l'allevamento e il consumo di insetti non darebbe evidenti benefici rispetto a una dieta a base di carni bianche, almeno dal punto di vista nutrizionale.
Questo non vuol dire che gli insetti non siano ugualmente un'importante scommessa per il futuro del pianeta: a livello ambientale, consumano meno acqua per crescere e riprodursi, ed emettono gas in quantità minori rispetto ad altri animali. La strada per renderli davvero un superfood è però ancora lunga: la tecnologia e la ricerca hanno molto da lavorare per studiare un modello di sviluppo e allevamento che possa, insieme, far bene all'ambiente e risolvere il problema nutrizionale mondiale. Senza scordare l'aspetto più gustoso di questo alimento, perché la rivoluzione degli insetti è partita proprio tra i fornelli delle cucine del mondo.