Se non fosse per la misurazione della temperatura con il termoscanner e il cartello con l’invito a usare il gel igienizzante all’ingresso, ai miei occhi parrebbe quasi tutto identico. Identico a prima della pandemia, si intende, quando alla parola “corona” al massimo associavo un sorso luppolato.
Tolta la mascherina, una volta accomodata al tavolo, mi pare tutto “regolare”, come sempre. È vero, qui c’è uno spazio all’aperto affacciato su Parco Sempione, che mi fa dimenticare qualsiasi cosa, ricordandomi quanto sia bella Milano. E la gente non manca: arriva pian piano per l’aperitivo o per la cena, e mi sembra pure piuttosto rilassata. Fuori non c’è posto, mi avevano avvisato al momento della prenotazione, così ci fanno accomodare in sala, a un tavolo che si trova accanto alle vetrate, e mi pare perfetto.
Siamo alla Terrazza Triennale Osteria con Vista, dimora meneghina dello chef Stefano Cerveni, una stella Michelin al ristorante Due Colombe in Franciacorta, in provincia di Brescia, un’altra zona molto colpita dal Covid-19.
Lo ammetto, essere venuta qui ha un significato particolare: ritrovare, per la ripartenza, un po’ di quell’entusiasmo che ha caratterizzato Milano durante Expo 2015, quando ha inaugurato questo ristorante in cima al palazzo che ospita la Triennale. Un edificio immerso nel verde, dove ha sede il Museo del Design, altro fiore all’occhiello della città assieme al cibo.
Il museo è ancora chiuso, per prendere l’ascensore che porta in Terrazza si attraversa un atrio che è più silenzioso del solito - e forse ancora più affascinante, perché sembra “tuo”.
Qui, l’Osteria è “con Vista” non solo per il panorama, ma anche per la cucina, che ha una postazione completamente aperta sulla sala: si vedono i cuochi all’opera, distanziati tra loro, muniti di guanti e mascherina.
In sala ci sono circa una decina di tavoli molto lontani tra loro, separati più o meno da due metri e mezzo di spazio, mentre quelli all’aperto - i più richiesti, che nel corso della serata vedrò riempirsi - distano un metro l’uno dall’altro, nel rispetto delle disposizioni.
“Non abbiamo dovuto cambiare i tavoli, la distanza sociale degli ospiti di un metro è rispettata, però abbiamo diminuito i coperti”, dice lo chef Cerveni. “Li abbiamo ridotti del 50%, potevamo averne di più, ma penso sia stupido, perché innanzi tutto - se vogliamo che i clienti tornino nei ristoranti - dobbiamo dare fiducia: volevamo che gli ospiti fossero tranquilli”, prosegue.
Immagino che tutti vorranno mangiare fuori ora. “Fino a poco tempo fa eseguivamo ogni ordine, cercando di soddisfare ogni richiesta dei clienti, mentre adesso dobbiamo contingentare gli spazi, quindi se sono in quattro, e all’aperto c’è solo un tavolo da due, li faccio accomodare all’interno. A dire il vero abbiamo notato, sia allo stellato Due Colombe che qui in Terrazza Triennale, un rispetto molto alto del cliente, nel senso che nessuno ha avanzato pretese o, per esempio, ci ha chiesto come sanifichiamo”, risponde lo chef.
Ora il ristorante conta 60-65 posti a sedere, mentre prima erano 130 tra dentro e fuori. Ma le cose, qui, complice la clientela affezionata, la visione panoramica della città e la possibilità di mangiare all’aperto, non stanno andando così male. “Abbiamo riaperto la sera del 21 maggio, e per fortuna c’è stata una buona affluenza, siamo sempre pieni (al 50%, ovviamente). Per ora registriamo un’ottima reazione, perché c’è un ottimo approccio da parte della gente che viene qui: si vede che ha fiducia e che aveva voglia di tornarci”, racconta lo chef.
E tocca un tasto cruciale: quello della fiducia. Perché, seduta al tavolo di un ristorante dopo tre mesi, mi rendo conto che - una volta appurato che sono stati rispettati i protocolli relativi alle misure anti-contagio - è anche una questione di fiducia e di percezione personale. Sul tavolo trovo il QRcode per accedere alla carta dallo smartphone, ma i camerieri mi chiedono se voglio consultare il menu in formato classico, lasciandomi libera di scegliere (secondo il protocollo, infatti, si possono usare menu monouso o standard, da sanificare ogni volta).
Uso il QRcode per curiosità, ma la voglia di avere un contatto col menu da fotografare e leggere con calma ha la meglio. Così, scegliamo un grande classico dell’Osteria con Vista, le Linguine Grezze Cavalier Cocco Cacio&Pepe, Tartare di Gambero Rosso di Mazara del Vallo, ma anche un’originale new entry, Ostriche Amélie, Burrata Pugliese e Polvere di Caviale. Proseguiamo con Polpo, Friggitelli e Patate Arrosto, e con Gnocchetti di Patate in Guazzetto di Molluschi e Crostacei.
Intanto, tra una portata e l’altra, ne approfitto per fare due chiacchiere con lo chef. Ogni volta che mi alzo dal tavolo devo indossare la mascherina, e questo è l’unico elemento che mi riporta alla memoria il Coronavirus (oltre alla nuova normalità di vedere cuochi e camerieri indossare dispositivi di sicurezza - se tocco qualcosa, poi, a pochi metri dal tavolo trovo il dispenser con l’igienizzante).
Cerveni si divide tra Milano e Borgonato di Corte Franca, dove ha sede il ristorante stellato Due Colombe, di cui è chef e patron. “In Franciacorta abbiamo riaperto il 22 maggio, la prima sera ho rivisto tutti i clienti che hanno fatto il delivery durante il lockdown”, racconta. “Una buona parte di habitué è ricorsa alla consegna a domicilio anche a Milano, con i piatti di Osteria con Vista”. È servito? “Ho ripagato le bollette di Due Colombe, ma il delivery si rivela utile soprattutto per mantenere vivo il rapporto con i clienti, consegnavo col furgone personalmente assieme a mia moglie. Ho perso parecchio in termini economici: in Franciacorta ogni anno facevo cinquanta matrimoni, che rappresentavano il 70% del fatturato. Senza contare la clientela straniera, che è venuta meno: è vero che c’è anche una frequentazione locale, che è motivo di orgoglio, ma rappresenta solo il 40% del mio lavoro", spiega.
“Qui a Milano, invece, abbiamo optato per la consegna di box di piatti non finiti, da assemblare a casa. L’Osteria con Vista ha molti habitué, ma senza turismo e senza mostre in Triennale, ci viene meno il 40% della clientela, che è straniera”, prosegue.
Certo, la situazione non è rosea, ma lo chef ha la forza e la voglia di riprendere la scena. “Dobbiamo tornare con la volontà di esaltare il bello e valorizzare chi ha sempre lavorato, cercando di sopravvivere. Fino a gennaio di quest’anno ero una delle persone più felici del mondo, perché avevo un Due Colombe realizzato, per farlo ci ho messo una vita intera e quella di due generazioni prima di me, in quattro anni qui a Milano ho costruito un gruppo (il Gruppo Vista, con Ugo Fava e Marco Giorgi, che sigla anche il Caffè al Piano Terra e il Caffè in Giardino in Triennale, oltre a Vista Darsena e i locali Gud Milano, ndr) di 130 dipendenti, 9 locali, con delle società sane che funzionavano… Ma nel giro di tre mesi mi sono trovato azzerato di tutto”.
Eppure, se non avessi toccato questi temi quanto mai attuali, qui in Terrazza sembrerebbe scorrere quasi tutto come prima, affluenza compresa. “Il primo passaggio alla Fase 2 è stato positivo, siamo partiti un po’ meglio di quanto pensavamo: la clientela ci dà fiducia e ha iniziato a reagire, ma adesso dobbiamo saperci reinventare. Non abbiamo alternativa, dobbiamo continuare a fare qualità, declinandola anche in altri ambiti, dall’asporto al delivery”, commenta lo chef.
Intanto, mi anticipa l’idea per il nuovo asporto che introdurrà dal 3 giugno, all’Osteria con Vista. “Accanto alla carta, sul tavolo gli ospiti troveranno il menu per l’asporto, dove ci sarà l’80% dei piatti presenti sul menu del ristorante: gli indecisi, così, potranno scegliere cosa assaggiare al momento e cosa portare a casa, da assemblare e assaporare con calma. Ricorreremo al sottovuoto, in modo che i piatti si potranno conservare per quattro giorni, mantenendo inalterate il 90% delle caratteristiche. Il tutto confezionato in una borsetta griffata termica, con dentro il ghiaccio secco, in modo da tenere la catena del freddo”, racconta. “L’asporto potrebbe essere una piccola entrata che aggiungi, senza dover investire ulteriori risorse. Perché adesso il discorso è capire se le aziende sono sostenibili per ripartire”, evidenzia con grande lucidità.
Nel frattempo siamo arrivati al dessert, diamo una rapida scorsa al menu e optiamo per la Crème brûlée all’Arancia e Carote con Gelato alla Vaniglia e per la Barretta Soffice Sacher, Crumble di Mandorle e Sorbetto Albicocca. Sono ottimi, e lo chef ci manda al tavolo il pastry chef Stefano Casatti, che ci spiega come ha ideato la carta dei dolci. “Completamente nuova, punta su creazioni a ridotto contenuto di zucchero, realizzate con pochi ingredienti e senza glutine”, dice. Anche se il dispositivo di sicurezza cela in parte l’espressione del volto, l’entusiasmo nel raccontare le nuove ricette trapela dagli occhi.
Prima di andarmene, un piccolo bilancio, con qualche osservazione personale.
A parte gli altri ospiti seduti ai tavoli, per tutta la sera sono stata circondata da persone che indossavano la mascherina, ma è incredibile quanto gli occhi riescano a comunicare a fronte di una mutilazione del sorriso.
Lo skyline di Milano al tramonto distrae da ogni pensiero, e dopo tre mesi di “reclusione” mi è parso di vederlo per la prima volta.
Mai come in questo momento storico, al ristorante si riflettono le medesime dinamiche che regolano i rapporti interpersonali: la fiducia prima di tutto.
Infine, come ha affermato lo chef Cerveni durante la nostra chiacchierata, “ci sono aspetti del Covid che non sono così male, soprattutto in relazione a come sta cambiando la gente: con ritmi e abitudini migliori, i clienti sono più comprensivi”. E io, a mia volta, mi sono sentita più coccolata del solito.