Abbiamo avuto modo di conoscere Marco Acquaroli in tre diversi momenti.
La prima a inizio 2016, quando ha vinto il Bocuse d'Or Italia ottenendo l'opportunità di rappresentare il nostro paese al Bocuse d'Or Europe. La seconda qualche mese fa, quando siamo andati a trovarlo alla Dispensa Pani e Vini, il ristorante di Torbiato (BS) di cui aveva da poco preso il timone. La terza in occasione di questa intervista.
Ognuno di questi incontri ci ha confermato la stessa impressione: Marco Acquaroli è uno chef di tempra e determinazione rare, quasi zen nel suo modo di raccontare un percorso che l'ha portato, dopo aver girato il mondo, a tornare nella Lombardia, sua terra natale, pe dirigere uno dei ristoranti simbolo della Franciacorta.
Lei è figlio d'arte: suo padre faceva il fornaio. Non ha mai pensato di seguire le orme paterne?
Inevitabilmente crescere in una famiglia come la mia mi ha "segnato". Passavo le notti a fare il pane insieme a mio padre, da lì mi viene la passione per la cucina. Lui mi voleva pasticcere, io pasticceria l'ho studiata, ma ho capito in fretta che volevo fare di più.
Quando è arrivata la "folgorazione"?
Una cena a L'Albereta fatta nel 2003. Allora il ristorante era ancora guidati da Gualtiero Marchesi e in cucina c'era Andrea Berton. Abbiamo assaggiato tutti i classici marchesiani: il Raviolo aperto, il Filetto alla Rossini...
Quali sono state le sue prime esperienze in cucina?
Ho fatto molte esperienze in Lombardia: Miramonti L'Altro, Il Capriccio, Il Volto. Sono arrivato alla Dispensa Pani e Vini per l'apertura e ho fatto tre anni in cucina sotto la guida di Vittorio Fusari. Poi sono passato al Four Seasons in Svizzera e in Egitto: volevo imparare la gestione di un ristorante in una catena di quel tipo. E poi le tempistiche di un hotel ti permettono di avere molti mesi liberi l'anno, che ho sempre trasformato in stage.
Come mai ha deciso di tornare?
In Dispensa avevo lasciato il cuore. È un luogo che ha sempre precorso i tempi: una cucina veloce e moderna, improntata sulla qualità del prodotto. Al gestore Daniele Merola l'avevo sempre detto: tornerò. E lui non ha mai speso di farmi una "corte professionale" per farmi ritornare.
Come avete reimpostato il menu, prendendo il testimone della cucina di Vittorio Fusari?
Abbiamo impostato il menu pensando alla nostra generazione, con gli occhi di un 30enne. Il nostro è un menu frizzante, diretto, semplice, senza vincoli, sono gli stessi chef a servire al tavolo. I prodotti sono quasi tutti a km 0 - abbiamo 2500 mq di orto biologico - ma sono le spezie a dare l'impronta ai piatti. Possiamo dire che il tema comune è la naturalità.
Com'è stato tornare a lavorare in Italia dopo tanti anni all'estero?
Sicuramente c'è meno organizzazione e riscontro più problemi con i fornitori. All'estero sono loro a cercarti, qui sono io a doverli contattare e questo rende difficile fare ricerca di prodotto.
Quindi sono i giovani i clienti a cui puntate?
II generazione di cantinieri con social
Due anni fa ha partecipato al Bocuse d'Or Europe ma non ha passato la selezione per quello mondiale. Voglia di riprovarci?
Avevo deciso di partecipare mentre lavoravo in Svizzera: lì tutti facevano concorsi. Da questa esperienza ho capito che il concorso serve soprattutto a te stesso, indipendentemente dal risultato, per metterti alla prova e avere la misura dei tuoi progressi.